fbpx Storia della Biennale Arte
La Biennale di Venezia

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BIENNALE ARTE

STORIA

 

L'Esposizione Internazionale d'Arte, la "grande madre" di tutte le Biennali, viene istituita nel 1895 e da subito ottiene un ruolo di primissimo piano tra le rassegne d'arte di respiro internazionale, prestigio che si mantiene inalterato anche ai giorni nostri per la capacità della Biennale Arte di precorrere le nuove tendenze dell'arte e, allo stesso tempo, di proporre secondo rinnovate prospettive opere e autori di ogni epoca. Innumerevoli sono i Maestri che sono stati invitati a presentare le loro opere all'Esposizione Internazionale d'Arte, così come gli importanti teorici e storici dell'arte che ne hanno curato le Mostre principali e i Padiglioni Nazionali: un lunghissimo elenco di figure centrali della storia dell'arte del Novecento che hanno contribuito a generare e sviluppare il "pluralismo di voci" che caratterizza La Biennale di Venezia fin dalla sua nascita.

La 49. Esposizione Internazionale d'Arte si è svolta dal 10 giugno al 4 novembre 2001 con il titolo Platea dell'Umanità. Fu diretta, come l'edizione '99, dal critico svizzero Harald Szeemann richiamando oltre 243.000 visitatori. Szeemann ebbe a dichiarare: "Nessun tema determina la scelta degli artisti; anzi, sono questi con le loro opere a rappresentare la dimensione dell'evento. La Biennale come piattaforma che offre una vista sull'umanità".

Venne esposta anche un'opera fondamentale di Joseph Beuys, La fine del XX secolo. Secondo Szeemann, "Fu Beuys soprattutto a verbalizzare senza posa il concetto di libertà". E accanto a lui, vennero esposti vari altri artisti: "Cy Twombly, che riattualizza i miti con gesti generosi; Richard Serra, il creatore di un nuovo concetto di monumentalità; Niele Toroni, il fautore della pittura come traccia; e diversi altri artisti contemporanei che si dedicano alla figura umana, come Ron Mueck".

La 50. edizione dell'Esposizione Internazionale d'Arte ha avuto luogo dal 15 giugno al 2 novembre 2003, diretta da Francesco Bonami, col titolo Sogni e Conflitti - La dittatura dello spettatore. Bonami ha dichiarato che l'esposizione, capace di richiamare oltre 260.000 visitatori, è stata concepita "come una mostra polifonica dove un gruppo di voci e pensieri parlano nello stesso contesto attraverso la propria identità". Bonami ha infatti curato tre mostre nell'ambito del progetto complessivo: Ritardi e Rivoluzioni (con Daniel Birnbaum), Clandestini, e Pittura/Painting, una retrospettiva sulla pittura alla Biennale dal 1964 a oggi, allestita al Museo Correr. Le altre mostre che facevano parte della 50. edizione erano La Zona, curata da Massimiliano Gioni, Smottamenti, curata da Gilane Tawadros, Sistemi Individuali, curata da Igor Zabel, Zona d'Urgenza, curata da Hou Hanru, La Struttura della Crisi, curata da Carlos Basualdo, Rappresentazioni Arabe Contemporanee, curata da Catherine David, Il Quotidiano Alterato, curata da Gabriel Orozco, e Stazione Utopia, curata da Molly Nesbit, Hans Ulrich Obrist e Rirkrit Tiravanija.

Dal 12 giugno al 6 novembre 2005 ha aperto al pubblico la 51. Esposizione Internazionale d'Arte, che ha presentato due mostre internazionali allestite ai Giardini (L'esperienza dell'arte, curata da María de Corral) e all'Arsenale (Sempre un po' più lontano, curata da Rosa Martínez): per la prima volta sono due donne, entrambe spagnole, le curatrici dell'evento. Alle due mostre centrali si aggiungono 70 partecipazioni nazionali e 31 eventi collaterali. Complessivamente il flusso di pubblico tra le sedi della Biennale e quelle nel centro storico veneziano si può calcolare in 915.000 persone: 265.000 i visitatori delle due mostre internazionali; 370.000 i visitatori delle mostre dei 40 Paesi allestite nel centro storico; 280.000 le presenze dei 31 eventi collaterali.

La 52. Esposizione Internazionale d’Arte Pensa con i sensi - Senti con la mente. L’arte al presente  si è svolta dal 10 giugno al 21 novembre 2007, diretta dal critico statunitense Robert Storr. Con 319.332 visitatori, la mostra registra uno degli afflussi più intensi nella storia centenaria della Biennale e il più alto consenso di pubblico negli ultimi venticinque anni. L'Esposizione, allestita negli spazi di oltre 25.000 metri quadrati ai Giardini e all’Arsenale, è caratterizzata dalla partecipazione eccezionale anche dei 76 Padiglioni nazionali e dei 34 Eventi collaterali, e, nel periodo di apertura al pubblico, è la mostra d’arte più visitata in Italia. Le mostre dei 42 Paesi ospitate da palazzi e chiese nel centro storico veneziano, tutte a ingresso libero, sono state visitate da oltre 827.000 persone. Le esposizioni dei 34 Eventi collaterali diffuse nella città e sulle isole della laguna, anch’esse a ingresso libero, hanno registrato circa 650.000 visitatori.

La 53. Esposizione Internazionale d’Arte, diretta dallo svedese Daniel Birnbaum e intitolata Fare Mondi // Making Worlds, si è svolta dal 7 giugno al 22 novembre 2009, ai Giardini, all’Arsenale, e in vari luoghi di Venezia. Con 375.702 visitatori ha superato il record del 2007, con un incremento 18%, posizionandosi, durante le 24 settimane di apertura, costantemente al vertice della classifica delle esposizioni italiane più visitate. Fare Mondi ha collegato in un’unica mostra le sedi espositive del rinnovato Padiglione Centrale (Giardini) e dell’Arsenale, riunendo – inclusi i collettivi – più di 90 artisti da tutto il mondo, con nuove opere di tutti i linguaggi. La Biennale ha saputo attrarre 77 Partecipazioni Nazionali e 44 Eventi Collaterali che si sono svolti a Venezia. Particolare successo ha riscosso il Padiglione Italia che ha assunto una straordinaria rilevanza e il cui rinnovamento, anche in termini di raddoppio dello spazio espositivo, ha segnato una svolta nella partecipazione degli artisti italiani alla Biennale.

2011 è la storica dell'arte e critica svizzera Bice Curiger a curare la mostra, che porta il titolo di ILLUMInazioni. Questa edizione dell'Esposizione Internazionale d'Arte - la 54ma - segna un nuovo record di pubblico: superati i 440.000 visitatori, con un incremento del 18% rispetto alla precedente mostra. 83 gli artisti della mostra internazionale, di cui 62 presenti per la prima volta, 32 giovani artisti nati dopo il 1975 e 32 presenze femminili. Record anche per i Paesi presenti, 89, e consueta partecipazione di Eventi collaterali, 37. La serie dei Meetings on Art, conversazioni di artisti, critici e filosofi sui temi della mostra, mette in contatto il pubblico della Biennale con personalità che vanno da Laurie Anderson a Patti Smith, da Achille Bonito Oliva a Germano Celant, da Hans Ulrich Obrist a Okwui Enwezor, a molti altri.
Il progetto Biennale Sessions coinvolge 31 università nazionali e internazionali che visitano la mostra organizzando seminari in uno spazio gratuito messo a disposizione dalla Biennale.

La 55. Esposizione Internazionale d'Arte, curata da Massimiliano Gioni, si svolge dal 1 giugno al 24 novembre 2013; la Mostra, intitolata Il Palazzo Enciclopedico, ottiene uno straordinario successo di pubblico, superando i 475.000 visitatori (con un incremento dell'8% rispetto al 2011) e confermandosi la più visitata d'Italia.  Oltre 160 gli artisti, provenienti da 38 nazioni, inclusi nel percorso espositivo. 88 le Partecipazioni nazionali, con 10 Paesi presenti per la prima volta; novità assoluta è anche la partecipazione della Santa Sede, con una mostra allestita nelle Sale d'Armi. Il Padiglione Italia, allestito alle Tese delle Vergini in Arsenale, è curato da Bartolomeo Pietromarchi ed è intitolato Vice versa, riprendendo un concetto teorizzato da Giorgio Agamben. Il Padiglione Venezia, intitolato Silk Map e curato da Renzo Dubbini, riprende con forza l'originaria vocazione della struttura nata per ospitare le eccellenze nelle arti decorative, e rende omaggio attraverso cinque artisti attivi tra l’Italia e l’Oriente all’"arte soffice": la tessitura. Sono 47, inoltre, gli Eventi Collaterali, dislocati in numerose sedi della città di Venezia.
Durante tutto il periodo di Mostra la Biennale organizza il programma di Meetings on Art, una serie di conferenze, spettacoli e dibattiti, arricchiti in quest'edizione dall'installazione FÉN, un progetto dell'artista Marco Paolini.

Nel 2015 il curatore della 56. Esposizione Internazionale d’Arte è il critico e scrittore Okwui Enwezor. La mostra, dal titolo All The World’s Futures, si svolge dal 9 maggio al 22 novembre e batte un nuovo record richiamando oltre 501.000 visitatori e oltre 8.000 giornalisti accreditati.
Nel programma espositivo della mostra, 136 artisti dei quali 89 presenti per la prima volta, provenienti da 53 paesi; 159 le nuove produzioni realizzate per questa edizione. 89 Partecipazioni nazionali negli storici padiglioni ai Giardini, all’Arsenale e nel centro storico di Venezia, con 5 paesi presenti per la prima volta: Grenada, Mauritius, Mongolia, Mozambico, Seychelles. 44 Eventi collaterali con mostre e iniziative allestite in vari luoghi della città. Nell’Arena, un nuovo spazio concepito dall’architetto David Adjaye nel Padiglione Centrale, si svolge una programmazione interdisciplinare dal vivo, il cui cardine è la lettura senza soluzione di continuità di Das Kapital di Karl Marx; l’Arena ha raccolto recital, proiezioni di film, performance, pubbliche discussioni per tutta la durata della mostra.
Le mostre della Santa Sede (In Principio… la parola si fece carne alle Sale d'Armi dell’Arsenale, curatore Micol Forti), del Padiglione Italia (Codice Italia, curatore Vincenzo Trione) e del Padiglione Venezia dedicato alle arti applicate (Guardando avanti. L’evoluzione dell’arte del fare. 9 storie dal Veneto: Digitale – non solo digitale, curatore Aldo Cibic) completano l’offerta espositiva di questa edizione. 
Una collaborazione tra la Biennale di Venezia e il Google Cultural Institute ha consentito per la prima volta l’archiviazione e la fruizione online della Biennale Arte 2015 anche dopo la sua conclusione ufficiale. 

La 57. Esposizione Internazionale d'Arte, a cura di Christine Macel e intitolata VIVA ARTE VIVA, è aperta al pubblico dal 13 maggio fino al 26 novembre 2017, ai Giardini della Biennale e all’Arsenale e nel centro storico di Venezia. La Mostra include 120 artisti, di cui 103 presenti per la prima volta nella Mostra principale, 86 Partecipazioni Nazionali con 3 paesi presenti per la prima volta: Antigua e Barbuda, Kiribati, Nigeria, un progetto speciale e 23 Eventi collaterali selezionati. VIVA ARTE VIVA si sviluppa intorno a nove capitoli o famiglie di artisti, con due primi universi nel Padiglione Centrale ai Giardini e sette altri universi dall'Arsenale fino al Giardino delle Vergini. L’intera Mostra viene animata da una serie di progetti paralleli e di performance che seguono il postulato di mettere gli artisti al centro della Mostra: vengono proposte in questo senso Tavola Aperta (Open Table), Pratiche d'ArtistaLa Mia Biblioteca

L'Esposizione internazionale d'arte del 1990, diretta da Giovanni Carandente fu intitolata Dimensione futuro. La mostra centrale, Ambiente Berlin, vasta rassegna di artisti di vari paesi che avevano operato nella metropoli tedesca nei decenni precedenti, venne allestita al Padiglione Italia. Spiccavano, all'inizio del percorso, i plurimi del ciclo Absurder Tagebuch del 1964 di Emilio Vedova. Invece Omaggio a Eduardo Chillida, grande scultore spagnolo Gran premio per la scultura nel 1958, fu allestita a Cà Pesaro. Achille Bonito Oliva allestì una mostra speciale alla Giudecca, Ubi Fluxus ibi Motus. Molto interesse destò la partecipazione di Robert Rauschenberg, ambasciatore della Pop Art nel '64, che espose un proprio lavoro nel padiglione sovietico. Ma a suscitare particolare attenzione e polemiche furono le opere della sezione Aperto alle Corderie. Esponenti ecclesiastici protestarono per un lavoro del gruppo americano Grand Fury sul tema dell'Aids, mentre gli ambientalisti contestarono un'opera che esponeva formiche vive. La mostra fu chiusa per gli accertamenti sanitari sul sezionamento di una carcassa di mucca da parte dell'inglese Damien Hirst (dal contenitore di plexiglass in cui era contenuto l'animale, fuoriusciva la formalina usata per la conservazione). Con una scultura policroma a grandezza naturale, l'americano Jeff Koons si ritraeva insieme alla moglie Ilona Staller. Il Leone d'oro per la scultura andò alle grandi fotografie di archeologia industriale dei tedeschi Bernd e Hilla Becher, mentre i marmi di Giovanni Anselmo furono premiati per la pittura. Suggestivo risultò il padiglione statunitense con le scritte elettroniche e le sentenze pubblicitarie, costate un anno di lavoro, di Jenny Holzer (Premio dei Paesi). Vincitore del Premio Duemila per i giovani fu lo scultore inglese di origine indiana Anish Kapoor.

L'Esposizione del 1993, curata da Achille Bonito Oliva, si presentò come grande panoramica internazionale e interdisciplinare. Venne affiancata da 45 partecipazioni nazionali, con omaggi a Francis Bacon, John Cage e Peter Greenaway. La 45. Esposizione slittò al 1993 per far coincidere la successiva edizione con il centenario della Biennale. Il titolo fu Punti cardinali dell'arte e si articolò in una quindicina di mostre. Di particolare rilevanza la mostra allestita da David Sylvester al Museo Correr con le opere di Bacon, scomparso l'anno precedente. Interessò anche il padiglione della Germania che vinse il Premio dei Paesi, il cui pavimento era stato completamente divelto da Hans Haacke allo scopo di far camminare i visitatori sulle "macerie del paese". Sulla stessa linea il Padiglione russo, trasformato da Ilja Kabakov in un luogo abbandonato, pieno di rottami.

Nel 1995, l'edizione del centenario, l'Esposizione fu affidata per la prima volta a un direttore non italiano, il francese Jean Clair, il quale allestì a Palazzo Grassi una grande mostra sul tema del volto e del corpo umano, intitolata Identità e alterità, che fu anche un omaggio ai maestri del XX secolo, il secolo della Biennale, con opere provenienti dai più importanti musei del mondo. Nell'anno del suo centenario la Biennale promosse manifestazioni per tutti i settori d'attività.

La 47. Esposizione d'Arte del 1997, curata da Germano Celant, ruotò intorno alla mostra Futuro, Presente, Passato, in cui si incontrarono idealmente tre generazioni di artisti dal 1967 al 1997. In tutto l'Esposizione ospitò 58 Paesi. I Leoni d'oro furono assegnati a Marina Abramovic e Gerhard Richter.

Il 23 gennaio 1998 il Consiglio dei Ministri approvò in via definitiva il decreto legislativo di trasformazione in persona giuridica privata della Biennale di Venezia, ovvero in "Società di cultura La Biennale di Venezia". I settori di attività diventarono sei (architettura, arti visive, cinema, teatro, musica, e ora anche la danza), in collegamento con l'ASAC. Paolo Baratta è stato il primo Presidente della nuova Biennale.

Con le direzioni di Harald Szeemann nel 1999 (dAPERTutto) e nel 2001 (Platea dell'umanità) la Biennale iniziò un grande intervento di recupero per consentire l'utilizzo ad uso espositivo di importanti edifici (Artiglierie, Gaggiandre, Tese sansoviniane) dell'Arsenale di Venezia, in cui può estendersi la mostra centrale, prima tradizionalmente confinata al Padiglione Italia dei Giardini di Castello. Con Aperto 80 Bonito Oliva e Szeemann avevano dischiuso per la prima volta alla Biennale le porte alle nuove generazioni e ai nuovi linguaggi. Con dAPERtutto (1999) Szeemann introdusse il superamento di ogni separazione tra artisti affermati e giovani, mentre nessuno stile aveva più il sopravvento sull'altro.

Nel 1979 venne nominato alla guida della Biennale lo storico napoletano Giuseppe Galasso, mentre il critico torinese Luigi Carluccio assunse la direzione del Settore Arti visive. Le prime iniziative importanti del decennio furono guidate dai direttori del Teatro, Maurizio Scaparro, e Architettura, Paolo Portoghesi. Il primo collegò con grande successo l'attività della Biennale al Carnevale veneziano, Portoghesi recuperò invece le Corderie dell'Arsenale, grande spazio da tempo inutilizzato, con la mostra sul Postmodernismo La via novissima.

Negli anni Ottanta l'Esposizione d'Arte venne impostata su temi unitari: Arte come Arte (1982), Arte allo specchio (1984), Arte e scienza (1986). La struttura tematica venne poi superata da Giovanni Carandente, che nell'edizione del '90 articolò invece la mostra per sezioni: Ambiente Berlin e Aperto.

L'Esposizione internazionale d'arte del 1980 presentò diverse mostre, tra le quali una curata da Jean Leymarie dedicata a Balthus (Balthasar Klossowsky de Rola) nella Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, e un'altra allestita da Jiri Kotalik a Ca' Pesaro (L'arte moderna cecoslovacca nei musei di Praga). Achille Bonito Oliva e Harald Szeemann idearono Aperto '80, allestita negli ex Magazzini del Sale a Dorsoduro. Questa nuova iniziativa si presentò come una speciale sezione per i giovani artisti e fu ripetuta in molte edizioni successive. Proprio in questa sezione fecero la loro apparizione alla Biennale i cinque protagonisti della cosiddetta Transavanguardia, teorizzata dallo stesso Bonito Oliva: Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Nicola De Maria e Mimmo Paladino. Tra le mostre personali, invece, attirò l'attenzione il padiglione polacco dedicato alla scultrice Magdalena Abakanowicz.

Arte come arte: persistenza dell'opera fu il titolo che Luigi Carluccio lasciò per l'edizione successiva, quando nel 1981 morì improvvisamente in Brasile. La Biennale del 1982 vide Gian Alberto Dell'Acqua, già Segretario Generale negli anni Sessanta, realizzare il programma che il suo predecessore aveva già delineato e annunciato. Una mostra che doveva essere dedicata a Matisse, presentò solo due dipinti provenienti dall'Ermitage. Una mostra fu allestita in omaggio allo scultore rumeno Costantin Brancusi, un'altra fu dedicata a Egon Schiele. Nell'estate del 1983 al museo Correr venne dedicata la mostra Montagne incantate, che presentava dipinti di Michelangelo Antonioni.

Nel 1984 iniziò la lunga presidenza di Paolo Portoghesi (che si concluse nel 1992), uno dei più famosi architetti italiani, mentre Maurizio Calvesi, storico dell'arte, venne chiamato a dirigere le Arti visive. Il tema della Biennale di quell'anno fu Arte e arti. Attualità e storia. La mostra centrale, dedicata a Le arti a Vienna dalla Secessione alla caduta dell'impero asburgico, fu allestita a Palazzo Grassi, mentre ai Giardini furono presentate due grandi mostre dedicate all'attualità.

Il tema della Biennale del 1986 fu Arte e Scienza, e fu divisa in due settori: la prima era Tra passato e presente, che comprendeva Spazio, arte ed alchimia e Wunderkammer, nella seconda, Nell'età delle scienze esatte, erano invece comprese Arte e biologia, Colore, tecnologia ed informatica e La scienza dell'arte. Si trattò di una mostra molto complessa e articolata. Fu allestita anche una mostra di sculture all'aperto, mentre riscosse particolare interesse la mostra che gli Stati Uniti dedicarono a Isamu Noguchi. Proprio in quell'anno, la gestione del Padiglione statunitense venne ceduta dal Moma di New York alla Solomon Guggenheim Foundation. Molta eco sulla stampa ebbe l'iniziativa antirazzista di Vincenzo Eulisse che appese figure nere ai ganci di una macelleria presa in affitto e inaugurata come "Padiglione del Sud Africa".

Gli Stati Uniti furono grandi protagonisti anche nell'edizione del 1988, intitolata Il luogo degli artisti. Il Leone d'oro andò infatti a Jasper Johns. Per l'artista americano, presente alla Biennale già nel 1958, fu la prima grande mostra personale in Europa. La sezione Aperto decretò miglior giovane artista l'americana Barbara Bloom. Giovanni Carandente, direttore da quell'anno del Settore, allestì alcune mostre speciali, tra le quali Ambiente Italia, dedicata a otto artisti stranieri operanti in Italia come Twombly, Sol Lewitt, Lüpertz.

La Biennale ebbe luogo anche nel 1970, nonostante la crisi istituzionale e d'identità maturata nei tumultuosi anni '60. La contestazione del '68 aveva però lasciato alcuni segni evidenti: furono aboliti i Gran premi (ripristinati nel 1986 con i Leoni d'oro) e fu eliminato l'ufficio vendite, considerato strumento della mercificazione dell'arte. Si rinunciò per un periodo alle mostre monografiche e celebrative, proponendo invece rassegne tematiche quali Ricerca e progettazione o Arte e società. Il Segretario Generale Umbro Apollonio e Dietrich Mahlow curarono la mostra speciale Proposta per una esposizione sperimentale, aperta con un mese di ritardo. La mostra si proponeva di "presentare concretamente alcuni problemi dell'arte", e allineava opere di Malevich, Duchamp, Man Ray e Albers.

Nel 1971 il socialista Mario Penelope fu nominato Commissario straordinario per le Arti figurative e organizzò subito la mostra Aspetti della grafica europea a Ca' Pesaro. Penelope diede vita a una apprezzata Biennale nel 1972, articolata in una serie di mostre, e propose per la prima volta un tema, Opera e comportamento. Nel corso di questa Biennale, diecimila farfalle furono liberate da una grande cassa di legno in piazza San Marco, mentre Gino De Dominicis, allora venticinquenne, "espose" un ragazzo affetto da sindrome di Down, al collo del quale appese un cartello con la scritta "Seconda soluzione di immortalità: l'universo è immobile". Fu un vero scandalo, e le proteste per "tanto cinismo" provocarono interrogazioni parlamentari.

Lo Statuto dell'Ente autonomo restava un nodo da sciogliere: da più parti proveniva la richiesta di adeguare ai tempi nuovi la Biennale. Il nuovo Statuto della Biennale venne dunque approvato dal Parlamento italiano il 26 luglio del 1973, ma bisognò aspettare il 20 marzo del 1974 perché i 18 membri del consiglio direttivo venissero nominati da tutte le parti politiche. Carlo Ripa di Meana fu eletto Presidente, mentre il democristiano Floris Ammannati, ex soprintendente de La Fenice, fu nominato Segretario Generale. Vittorio Gregotti assunse la direzione dei settori Arti visive e Architettura. Con questa riforma iniziò un tentativo di programmazione mirata alla decentralizzazione, all'interdisciplinarità e al superamento della cadenza stagionale. Alla tradizionale sede dei Giardini si affiancarono nuove sedi espositive alla Giudecca (ex cantieri), a Dorsoduro (Magazzini del sale), e altri spazi della città dove si tennero happenings, dibattiti, spettacoli.

Con una clamorosa decisione, Ripa di Meana dedicò l'intera edizione del 1974 al Cile, allestendo mostre di manifesti, organizzando spettacoli teatrali e concerti. Quella Biennale costituì forse la più grande e risonante protesta culturale nei confronti del dittatore cileno Pinochet. Molti pittori italiani e stranieri, tra i quali il cileno Sebastian Matta ed Emilio Vedova, riempirono i campi veneziani con murales inneggianti alla libertà del popolo cileno: costituivano la Brigada Salvador Allende. La stessa Ortensia Allende, vedova del presidente cileno assassinato, raggiunse Venezia per inaugurare la Biennale del 1974. Ne risultò un'affollatissima manifestazione, tenuta solennemente a Palazzo Ducale anziché ai Giardini. Fu un'edizione talmente particolare della Biennale, che non le venne nemmeno assegnato il tradizionale numero romano. Il catalogo non fu stampato, ma fu sostituito da fascicoli fotocopiati che riguardavano ciascuna mostra o spettacolo.

Il nuovo Statuto prevedeva anche le Attività permanenti: nel corso del 1975 furono quindi promosse diverse manifestazioni in varie sedi, mostre e spettacoli teatrali. Nel 1976 la Biennale tornò ai Giardini ed ebbe un tema: Ambiente arte. In quei mesi Wladimiro Dorigo inaugurò la nuova sede dell'Asac (Archivio Storico delle Arti contemporanee), l'archivio della Biennale, nel restaurato palazzo di Ca' Corner della Regina sul Canal Grande, dove l'anno seguente si tenne la mostra Ottant'anni di allestimenti alla Biennale.

Quella del 1977 passò alla storia come la Biennale del dissenso, tema molto discusso in quel periodo in Europa. Presentò infatti una mostra intitolata La nuova arte sovietica: una prospettiva non ufficiale. Nel frattempo il mandato del direttivo era scaduto e Ripa di Meana mise fine alla discussione sulle nuove nomine annunciando l'esposizione del 1978 e affidando il settore arti visive a Luigi Scarpa. Dalla natura all'arte, dall'arte alla natura fu il tema della 38. Biennale, che precorreva le tematiche ambientaliste e prendeva spunto da una citazione di Kandinkij: "grande astrazione, grande realismo". La mostra del padiglione centrale fu curata da Achille Bonito Oliva e presentò sei "stazioni" con dipinti di Kandinskij, Mondrian, de Chirico, Boccioni, Rauschenberg, Braque, Duchamp, Picasso.

Le Biennali degli anni Sessanta iniziarono con un crescendo di polemiche dovute al gran numero di artisti invitati, e a quello che veniva definito lo "strapotere della critica", che imponeva mode e stili. Fu proprio la critica che, secondo molti, determinò l'affermazione del movimento informale alla Biennale del 1960: i Gran premi per la pittura vennero infatti assegnati ai francesi Fautrier e Hartung, nonché all'italiano Emilio Vedova. Per l'artista veneziano si trattava della consacrazione internazionale. Nell'edizione del 1962 risultò di grande interesse la mostra dei Gran premi allestita a Cà Pesaro, mentre di notevole rilievo critico apparve la retrospettiva dedicata all'artista americano di origine armena Arshile Gorky. A curare tutte le Esposizioni di questo decennio fu Gian Alberto Dell'Acqua.

Quella del 1964 fu l'edizione dell'avvento clamoroso della Pop Art americana, che ridiede vitalità alla Biennale. Il premio riservato a un artista straniero fu assegnato a Robert Rauschenberg, spostando la bilancia della ricerca pittorica dall'Europa agli Stati Uniti. La Pop Art a Venezia fu rappresentata anche da Jasper Johns, Jim Dine e Claes Oldenburg. Una mostra collaterale di artisti pop fu progettata e realizzata da Leo Castelli e Ileana Sonnabend, nell'ex consolato statunitense, a San Gregorio. Questa esposizione aggiuntiva dimostrò che gli Stati Uniti puntavano decisamente sulla Pop Art. Il Segretario generale Gian Alberto Dell'Acqua, dopo aver sottolineato nel catalogo che la partecipazione degli Stati Uniti alla Biennale aveva assunto quell'anno per la prima volta "carattere di piena ufficialità", giustificava la "mostra complementare… a causa del numero e del rilevante formato delle opere inviate da oltre oceano". Il Gran premio assegnato a Rauschenberg provocò molte polemiche, anche all'interno della giuria internazionale. Inoltre, siccome l'artista esponeva nel padiglione ufficiale solo quattro dipinti, appena si seppe del premio, furono trasferite in fretta ai Giardini alcune opere esposte a San Gregorio. Il clamore che la Pop Art suscitò nella critica e nella stampa europee mise in ombra le altre mostre che componevano l'edizione di quell'anno.

La Biennale del 1966 sembrò quasi, dopo la pop art, un ritorno alla razionalità e al rigore. Fu l'anno infatti dell'arte optical, cinetica e programmata. Gli spazi espositivi dei Giardini erano dominati dalle installazioni dell'argentino Julio Le Parc, premiato per la pittura, e del venezuelano Raphael Soto. L'arte italiana vide premiati i "tagli" di Lucio Fontana e i gessi di Alberto Viani. Tra le retrospettive, spiccarono quelle dedicata a Umberto Boccioni e a Giorgio Morandi, scomparso proprio mentre era in corso la vernice dell'Esposizione del 1964.

La contestazione del 1968 investì in pieno la Biennale di quell'anno. Disordini e proteste caratterizzarono la 34. edizione, artisti di molti paesi aderirono alle manifestazioni e in segno di solidarietà coprirono o girarono le loro opere, alcune mostre storiche non furono neppure aperte. Il padiglione centrale ospitava una mostra molto ambiziosa intitolata Linee della ricerca, con opere di Malevich, Duchamp, Calder, Rauschenberg, Gorky. L'inaugurazione si svolse senza particolari disagi, e poco prima della chiusura furono assegnati i Gran premi a Schoffer e Riley per gli stranieri, e a Gianni Colombo e Pino Pascali (scomparso appena un mese prima) per gli italiani.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Biennale riprese il discorso da dove l'aveva lasciato: l'Impressionismo francese, proposto da Roberto Longhi in una memorabile rassegna. A rendere straordinaria la XXIV Biennale del 1948 fu anche la rivisitazione delle avanguardie, che fu resa possibile grazie anche all'impegno dei Padiglioni stranieri. Sensibile interprete di queste esigenze fu il Segretario Generale Rodolfo Pallucchini, che organizzò le prime cinque Biennali del dopoguerra (dal 1948 al 1956). Fu un periodo di tempo che gli permise di ricostruire un quadro abbastanza completo delle avanguardie europee, dal quale però rimase ancora escluso il Dadaismo. Ma soprattutto, di creare anche in Italia un ponte tra pubblico e arte contemporanea. I due eventi principali del 1948 furono la prima mostra retrospettiva di Picasso (sua prima apparizione alla Biennale all’età di 67 anni, presentato da Guttuso) e la mostra della collezione di Peggy Guggenheim che comprendeva 136 opere di 73 artisti, presentata da Giulio Carlo Argan. Negli anni seguenti vennero presentate altre retrospettive di artisti d’avanguardia. Ormai l’importanza del movimento era pienamente riconosciuta: furono premiati Braque (1948), Matisse (1950), Dufy (1952), Ernst e Arp (1954).

L’edizione del 1950 fu un altro successo, con quattro importanti mostre su Fauves, Cubismo, Futurismo e Blaue Reiter. Una rivelazione fu la stupefacente violenza pittorica del Padiglione Messicano, che presentava i “quattro grandi”: Jose Clemente Orozco, Diego Riviera, David Alfaro Siqueiros e Rufino Tamayo. Nel 1952 Pallucchini presentò una mostra comparativa affiancando il Divisionismo italiano (Previati, Pellizza da Volpedo e Segantini) al Puntillismo francese (Pissarro, Signac e Seurat). Un’importante mostra di stampe di Toulouse-Lautrec fu allestita nelle Sale Napoleoniche.

Nel frattempo nuove tendenze erano esplose. Il padiglione americano presentò l’action painting di Jackson Pollock. Il Premio Speciale per la Scultura venne assegnato a Calder nel 1952 e a Chadwick nel 1956. Alla Biennale del 1954 figurava il Surrealismo. Opere di Courbet, Munch, Klee e Magritte furono esposte nei rispettivi padiglioni. Sotto la direzione del nuovo Segretario Generale, Gian Alberto Dell'Acqua, che rimase in carica dal 1958 al 1968, la Biennale contribuì significativamente alla diffusione dell’arte contemporanea.

 

L'ESPOSIZIONE DEL 1948

I due fatti di maggior richiamo della Biennale del 1948, resa celebre dall'importante rivisitazione delle avanguardie che presentò guidata dal Segretario Generale Rodolfo Pallucchini, furono la retrospettiva con 19 dipinti di Pablo Picasso (prima apparizione alla Biennale all'età di 67 anni) presentata da Guttuso, e la collezione Peggy Guggenheim (136 opere di 73 artisti) presentata da Giulio Carlo Argan, grazie alle quali si entrava nel vivo del dibattito sull'arte contemporanea grazie alla presenza di tutte le tendenze estremiste, dal cubismo al surrealismo. Max Ernst, Dalì, Kandinsky, Klee, Mirò, Mondrian sono alcuni dei nomi che caratterizzarono questa 24. Biennale.

A questa edizione parteciparono soltanto quindici Paesi, perché molte nazioni stavano ancora riprendendosi dalla guerra. I padiglioni vuoti furono utilizzati per ospitare mostre speciali (l'Impressionismo in quello tedesco e la collezione Guggenheim in quello greco). Tre pittori metafisici italiani raccolse opere di Carrà, Morandi e de Chirico, ma quest'ultimo non accolse favorevolmente la scelta del curatore Francesco Arcangeli, aprendo una vicenda giudiziaria che si concluse solo nel 1955. De Chirico rifiutò di esporre alla Biennale fino al 1956, quando presentò 36 dipinti in una personale. Giuseppe Marchiori curò Il fronte nuovo delle arti, da cui scaturirono negli anni successivi il movimento del realismo e il Gruppo degli otto. La grande Mostra degli impressionisti presentò opere di Monet, Sisley, Cezanne, Degas, Gauguin e Van Gogh.

Anche i padiglioni nazionali organizzarono mostre importanti. La Francia allineava rassegne personali di Maillol, Braque, Chagall, mentre l'Austria presentava Egon Schiele, lo scultore Fritz Wotruba e utilizzava il padiglione jugoslavo per una grande esposizione di Oskar Kokoschka. La Gran Bretagna portò a Venezia Turner e la scultura di Henry Moore, il Belgio Ensor e Permeke. Nel padiglione centrale furono allestite una mostra su Paul Klee e una dedicata agli artisti tedeschi ripudiati dal nazismo. Nella sezione italiana, tra le altre, figurarono retropettive di Arturo Martini e Gino Rossi e personali di Massimo Campigli, Filippo De Pisis e Mino Maccari.

 

GLI ALLESTIMENTI DI SCARPA

Del grande architetto veneziano Carlo Scarpa è di particolare interesse, negli anni del secondo dopoguerra, la lunga, prestigiosa serie di allestimenti e interventi per la Biennale, serie che inizia nel 1948 e si conclude nel 1972.

Scarpa, che nei suoi lavori coniuga l'analisi dell'architettura contemporanea alla specificità dell'ambiente veneziano e alla sua tradizione artigianale, nel 1948 cura l'allestimento della collezione Guggenheim, nonché la particolare disposizione dei pannelli della sala personale di Paul Klee, strutturata in analogia ai quadri dell'autore.

Nel 1958 Scarpa si occupa della sala personale di Alberto Viani, mentre nel 1960 allestisce una quarantina di sale. Suo è poi l'allestimento del Padiglione Italia negli anni 1962, 1964, 1966 e 1968, quando soppalca il salone centrale, raddoppiandone la superficie espositiva. È rimasto celebre nel 1966 l'allestimento della sala di Fontana, con piedestalli cubici, destinati alle sculture sinuose dell'artista. Scarpa conclude nel 1972 la serie dei suoi interventi, caratterizzati da quella che Corboz definì una "muséographie poétique".

 

 

 

Nel primo dopoguerra la Biennale manifestò una maggiore apertura verso le più innovative tendenze dell'arte, grazie anche alla sensibilità del nuovo Segretario Generale Vittorio Pica, che fin dal 1908 si era interessato agli impressionisti, a cui aveva dedicato numerosi studi. Nel 1920 il curatore del Padiglione francese Paul Signac, oltre a 17 proprie opere, espose Cézanne, Seurat, Redon, Matisse e Bonnard, mentre l'Olanda propose la retrospettiva di Van Gogh e la Svizzera quella di Hodler.

A Pica il merito di aver presentato la prima retrospettiva di Modigliani nel 1922, e di aver organizzato, nello stesso anno, una mostra di scultura nera, rivalutata dai post-impressionisti. Non mancarono le polemiche: per l'arte nera si usò in senso dispregiativo il termine "primitivo", mentre di Modigliani venne sottolineata la sua vita disordinata. Ma in occasione della seconda retrospettiva, nel 1930, non rimase traccia di queste riserve. Inoltre, Vittorio Pica seppe imporre la sua decisione di presentare sei acquerelli di Van Dongen, nonostante l'opposizione di parte del consiglio direttivo e dello stesso Sindaco di Venezia Davide Giordano.

Intanto Filippo Grimani nel 1920 aveva perso la carica di Sindaco e con essa la presidenza della Biennale. La Giunta Giordano, preoccupata dalla nuova ardita tendenza iniziata dal Segretario Generale Pica, gli affiancò un Consiglio direttivo di 7 membri (diventerano 8 nel 1924 e 13 nel 1926). Nel 1926 Pica fu costretto da motivi di salute a dimettersi, e il conte Pietro Orsi, divenuto contemporaneamente Podestà di Venezia e Presidente della Biennale, nominò il nuovo Segretario Generale, Antonio Maraini. Nel 1928 prese vita il primo Archivio della Biennale, denominato Istituto Storico d'Arte Contemporanea.

La tradizione di apertura verso l'arte francese continuò, e nel 1928 fu allestita la mostra sulla Scuola di Parigi con opere di Bissière, Chagall, Ernst e Zadkine. Notevole attenzione venne dedicata agli artisti che risiedevano nella capitale francese in quegli anni. Appels d'Italie fu il titolo che Mario Tozzi scelse per la mostra da lui curata per la Biennale del 1930, un confronto di artisti italiani francesi residenti nella capitale d'oltralpe, mentre Severini nel 1932 presentò proprio una Mostra degli italiani a Parigi, in cui espose, tra le altre opere, I gladiatori di De Chirico.

In quegli anni il padiglione francese ospitò retrospettive (Gauguin, Tolouse-Lautrec, Monet, Manet, Degas, Renoir) e presentò maestri contemporanei come Matisse (1928), Van Dongen (1930) e Zadkine (1932). La Gran Bretagna organizzò personali di Nicholson, Epstein e Moore, mentre la Germania, prima dell'avvento del nazismo, presentò Marc, Nolde, Klee e gli espressionisti Dix, Hofer, Beckmann, Kirchner e Schmidt-Rottluff.

Con Regio Decreto Legge 13-1-1930 n. 33, la Biennale venne trasformata in Ente Autonomo. Le modalità del finanziamento e lo Statuto dell'Ente vennero stabiliti con decreto nel 1931. Questa trasformazione fece sì che la Biennale passasse dal controllo del Comune di Venezia a quello dello Stato fascista. Il Presidente Giuseppe Volpi di Misurata, imprenditore di lungimiranti vedute, tra i fondatori dell'area industriale di Marghera, succedette al Podestà Ettore Zorzi al vertice del'istituzione veneziana. A Volpi andò il merito di aver allargato i confini della Biennale al di là del settore delle arti visive: egli promosse due Convegni di Poesia (1932 e 1934) e le prime mostre all'estero organizzate dalla Biennale, e soprattutto istituì i festival internazionali: il Festival della Musica (1930), il Festival del Teatro (1934), e l'Esposizione Internazionale d'Arte Cinematografica (1932).

La Biennale d'arte del 1938 vide l'istituzione dei Gran Premi. Con l'avvicinarsi della guerra il numero di nazioni presenti alla manifestazione diminuì notevolmente, per ridursi a dieci nel 1942, edizione decisamente in tono minore, incentrata su artisti militari. Le due successive edizioni del 1944 e del 1946 non ebbero luogo.

ALLESTIMENTI E DECORAZIONI 

Le prime Biennali seguirono in genere le tendenze d'allestimento e d'arredo dei salons o delle pinacoteche, con riformulazioni del tema neoclassico del Museo. Ma, come scrive lo storico della Biennale Romolo Bazzoni, "con i quadri e le statue in un ambiente così ampio, le opere non figuravano sempre bene".

È dal 1901 che alla Biennale vennero studiate soluzioni più adeguate per la collocazione delle opere in mostra, principalmente nel grande e disorganico Padiglione centrale. In quell'anno il primo Segretario Generale Antonio Fradeletto pensò di introdurre alla Biennale la decorazione come presenza artistica autonoma, con l'allestimento di sette sale regionali. Nel 1907 Giulio Aristide Sartorio decorò il salone centrale illustrando, con miti dell'antichità classica, il poema della vita umana. Impiegò quattro pannelli, lunghi sette metri e alti cinque, due per ogni parete del salone. Vennero sostituiti pochi anni dopo da quelli decorati dal pittore Pieretto Bianco per la Biennale del 1912.

Il difficile intreccio fra decorazione, collocazione delle opere, illuminazione e arredo, venne affrontato in modo sempre più consapevole e originale grazie allo stimolo del confronto internazionale, sotto l'influsso delle esposizioni di Stoccolma o di Bruxelles e della casa della Secession viennese. Sin dal 1905 le sale austriaca e tedesca diventarono esemplari lezioni di allestimento, con protagonisti dell'arredo come Emanuel Seidl, Bruno Paul, Joseph Urban. Nel 1910, alla nona Biennale, la tradizione decorativa austriaca offrì la celebre sala che ospitò le opere di Klimt, allestita da E.I. Wimmer.

Galileo Chini, il più attivo decoratore della scuola italiana, nel 1907 si ispirò all'Art Nouveau per la decorazione in fregi policromi e floreali della sala di quadri simbolisti L'arte del sogno.

Nel 1909, per l'ottava Biennale, Fradeletto volle tentare un altro esperimento di decorazione murale, questa volta realizzata direttamente sulle pareti della cupola del salone d'ingresso del Padiglione Italia. L'esecuzione dell'opera viene affidata allo stesso Chini, che approfittò degli otto spicchi sferici per illustrare i periodi più illustri della civiltà e dell'arte (le opere, in un primo tempo coperte, furono riportate alla luce nel 1986). È del 1914 un altro impegno alla Biennale del Chini: la decorazione del salone centrale dell'undicesima Biennale, commissionata dalla presidenza per sostituire i pannelli dipinti da Pieretto Bianco nel 1911.

 

I PRIMI PADIGLIONI STRANIERI

Il primo padiglione straniero, quello del Belgio, fu edificato nel 1907 per iniziativa del professor Fierens-Gevaert, direttore generale belga delle Belle arti. Il progetto per l'edificio e le decorazioni fu dell'architetto Leone Sneyers. Nel 1930 furono aggiunte due sale, laterali rispetto al grande salone centrale, mentre nel 1948 l'architetto veneziano Virgilio Vallot disegnò la nuova facciata.

L'ottava Biennale del 1909 si arricchì di tre nuovi padiglioni stranieri. Il padiglione della Gran Bretagna non fu costruito ex novo, ma fu utilizzato un edificio esistente, rimodernato da E. A. Richards e decorato internamente da Frank Brangwyn. Il padiglione della Germania, costruito accanto a quello inglese sulla collinetta dei Giardini, fu progettato da Daniele Donghi, architetto del Comune di Venezia. L'edificio inizialmente ospitò l'arte bavarese, mentre dal 1912 accolse opere da tutta la Germania. Chiuso durante la Grande Guerra, riaprì nel 1922 con opere dell'allora Repubblica federale del Reich tedesco. Proprietà del comune veneziano, nel 1938 venne riscattato e sostituito per ordine di Hitler da un altro più moderno su progetto di Ernst Haiger. L'architetto scultore Géza Maróti, ispirandosi alle tradizioni della storia e dell'arte magiara, ideò il padiglione dell'Ungheria. I mosaici furono eseguiti da Miksa Roth, su disegni di A. Korösfoi. Alla Biennale del 1948, una mostra venne allestita altrove per consentire il restauro del padiglione danneggiato, ma continui ritardi lo tennero chiuso fino '58, quando Agost Benkhard lo ricostruì parzialmente.

I padiglioni di Francia e Svezia furono eretti nel 1912, entrambi progettati e costruiti direttamente dalla Biennale. Quello francese esordì con la personale di Rodin. Nel 1914 la Biennale cedette l'edificio della Svezia all'Olanda. In seguito il padiglione olandese fu abbattuto e ricostruito nella stessa area nel 1954, su progetto di G. Rietveld di Utrecht, uno degli architetti usciti dal movimento de Stijl.

 

LE MOSTRE ALL'ESTERO

È con l'arrivo di Giuseppe Volpi alla presidenza (1930), che la Biennale inizia a organizzare Mostre d'arte italiana all'estero, o a curare la partecipazione nazionale in alcune grandi manifestazioni. Nel 1932 un'importante rassegna d'arte italiana fu allestita a New York, e poi in altre città americane. Nel 1933 la stessa operazione fu realizzata in Europa, con una mostra presentata in alcune città della Germania.

Nel 1935 la Biennale organizzò una "mostra d'arte moderna e contemporanea" a Parigi, e una esposizione di scultura a Vienna. Negli anni seguenti mostre d'arte figurativa vennero promosse a Budapest, Amsterdam e Sidney, mentre una mostra toccò cinque città tra Bucarest ed Atene prima di approdare in India. Tra l'autunno del 1937 e la primavera del 1938, il "paesaggio italiano" fu il tema di una mostra circolante che partendo da Varsavia giunse a Tallin.

Nel dopoguerra, dopo l'organizzazione di una mostra in Svizzera nel 1947, la Biennale curò la partecipazione italiana a grandi Biennali internazionali come quelle di Alessandria d'Egitto e San Paolo del Brasile. Le iniziative all'estero della Biennale si svolsero fino alla metà degli anni Settanta.

Una Mostra dei paesaggisti francesi degli anni '30 diede finalmente spazio, nella quarta Biennale del 1901, all'arte francese, piuttosto ignorata nelle prime esposizioni. Fu in quest'ambito che approdarono a Venezia opere di Corot e Millet, mentre notevole successo riscossero le venti sculture della personale di Rodin. La quinta Biennale (1903) registrò due novità: una fu l'apertura alle arti decorative, attraverso l'allestimento di sale comprendenti arredi; l'altra fu il Salon des refusées, concessa dopo una plateale protesta derivata dal verdetto di selezione, che escludeva 823 opere su 963.

L'Impressionismo francese, tendenza ormai stabilizzata a livello europeo, in questo periodo non venne considerato. Ci fu invece un'apertura verso l'arte americana, con la medaglia a Sargent nel 1907, e la personale di Barlett nel 1909. Nel 1907, grazie alla mediazione di Diaghilev, la Biennale ospitò il tolstoiano testimone delle tradizioni russe Repin, nonché Bakst, celebre costumista e decoratore di balletti russi. Bisognerà tuttavia attendere il 1910 perché le presenze internazionali alla Biennale siano di assoluto rilievo: una splendida sala di Klimt contrapposta a una personale di Renoir; ma anche le retrospettive di Courbet e di Monticelli. L'apertura all'Espressionismo, sorto a Dresda nel 1903, avvenne nel 1914 con una personale dedicata a Ensor. 

Curioso fu il rapporto della Biennale con un altro celebre artista: Picasso. Nel 1905 il Segretario Generale Fradeletto fece togliere una sua opera dal padiglione spagnolo, perché avrebbe potuto scandalizzare il pubblico con il suo linguaggio artistico troppo innovativo. Le opere di Picasso saranno esposte esposte alla Biennale solo nel 1948, grazie alla grande retrospettiva curata da Guttuso.

Per quanto riguarda l'arte italiana, a predominare fu l'Ottocento sia nell'ordinamento regionale delle sale (1901), sia nelle retrospettive dedicate a Fontanesi, Fattori, Signorini, Cremona. A questa tendenza si affiancò il perdurante stile simbolista. Significativa in questo senso fu la mostra L'arte del sogno del 1907, aperta anche ai simbolisti stranieri. È contro questo predominio, ormai considerato accademico, che si sviluppò, già a partire dal 1908, la reazione dei giovani di Cà Pesaro, organizzati dal critico Nino Barbantini. Solo nel 1914 Medardo Rosso avrà spazio alla Biennale, con una personale.

A partire dal 1907, Fradeletto promosse l'organizzazione dei Padiglioni stranieri (saranno 7 già attivi prima del conflitto mondiale). La nona Biennale fu anticipata al 1910 affinché non coincidesse con la grande Esposizione d'Arte che si doveva tenere a Roma, per la celebrazione del cinquantesimo anniversario del Regno d'Italia. L'Esposizione veneziana ebbe luogo con cadenza biennale fino all'interruzione, dal 1914 al 1920, dovuta alla Grande Guerra.

 

LA GALLERIA DI CA' PESARO

La Galleria Internazionale d'Arte Moderna di Venezia fu fondata dal principe Alberto Giovannelli, che alla seconda Biennale del 1897 acquistò sei opere di artisti italiani e stranieri, per poi donarle al Comune di Venezia. Altri seguirono l'esempio, e anche il Re Vittorio Emanuele III contribuì con quattro tele. La prima sede della galleria fu l'appartamento d'onore di Ca' Foscari.  Ca' Pesaro, palazzo seicentesco sul Canal Grande progettato da Baldassarre Longhena, divenne proprietà comunale nel 1899, alla morte della duchessa Felicita Bevilacqua La Masa che espresse la volontà di farne la sede di un'esposizione d'arte permanente per giovani artisti. Lì fu dunque spostata la Galleria d'Arte Moderna, la cui inaugurazione si tenne il 18 maggio del 1902. La direzione fu affidata alla Segreteria della Biennale, ma nel 1907, considerata l' importanza raggiunta dalla Galleria, fu indetto un concorso per nominare un apposito direttore. Si aggiudicò il posto Nino Barbantini, ferrarese appena ventitreenne, il quale iniziò subito a studiare la disposizione ottimale delle opere, optando per una suddivisione in gruppi di nazioni.

I contrasti tra la Biennale e Barbantini iniziarono quando Cà Pesaro ospitò la sua prima esposizione, nel 1908, a cui parteciparono anche Fragiacomo, Laurenti e Milesi. Il Segretario Generale della Biennale Fradeletto non gradì l'iniziativa del giovane direttore. Secondo la volontà della duchessa Bevilacqua, infatti, a Ca' Pesaro dovevano esporre solo artisti giovani, e non veterani della mostra ai Giardini. Oggetto di polemica fu anche l'utilizzo del Leone alato di S. Marco, marchio della Biennale, da parte dell'artista Marussig nel manifesto dell'esposizione di Ca' Pesaro. Le mostre che annualmente furono allestite a Cà Pesaro dal 1909 al 1913, ne accentuarono l'indipendenza, e l'antagonismo con la Biennale crebbe per il diverso criterio artistico adottato. Il contrasto si manifestò in modo più aspro nel giugno del 1914, quando un gruppo di artisti non accettati alla Biennale organizzò polemicamente all'Hotel Excelsior del Lido una "Esposizione di alcuni artisti rifiutati alla Biennale veneziana". Quell'anno, ai Giardini, su 621 artisti presentatisi ne furono accettati 114. Ma dopo l'esposizione dei "rifiutati", la rivalità tra le due istituzioni iniziò a sfumare.

La Biennale di Venezia nacque con una delibera dell'Amministrazione comunale del 19 aprile 1893, in cui si propose di "istituire una Esposizione biennale artistica nazionale" nell'anno successivo, per celebrare le nozze d'argento del re Umberto e Margherita di Savoia. L'effettiva inaugurazione della manifestazione si ebbe due anni dopo, il 30 aprile del 1895. In questo periodo tra l'idea e la realizzazione, si rivelò vincente l'impegno dell'allora Sindaco di Venezia Riccardo Selvatico, che volle fortemente trasformare gli incontri serali degli artisti nelle salette del caffè Florian in una prestigiosa esposizione internazionale.

L'organizzazione dell'evento partì con lo studio dello Statuto da parte di un'apposita commissione, che prese spunti dalla Secession di Monaco di Baviera. Fu previsto non solo di invitare i maggiori artisti italiani e stranieri, ma anche di lasciare spazio alle opere di pittori e scultori italiani non invitati. Ogni artista non poteva partecipare con più di due opere, e nessuna già esposta in Italia. Furono formati 3 Comitati: uno di artisti veneziani per sviluppare il programma della mostra, un altro per la propaganda, e un altro ancora per la stampa. Antonio Fradeletto venne nominato Segretario generale e diventò la personalità più importante del periodo, grazie alla sua abilità diplomatica che gli avrebbe permesso di intervenire nella selezione degli artisti, negli allestimenti, e in seguito di far realizzare i Padiglioni stranieri.

Il Palazzo della prima Esposizione fu costruito febbrilmente ai Giardini pubblici di Castello, appena in tempo per la cerimonia d'inaugurazione che vide la presenza di Re Umberto e di Margherita di Savoia, con la partecipazione entusiasta dei veneziani. A questa prima Esposizione Internazionale d'Arte della città di Venezia (in seguito chiamata La Biennale dalla cadenza della manifestazione) i visitatori furono più di 200 mila. Contribuirono al successo i biglietti speciali ferroviari di andata e ritorno, che includevano l'ingresso all'Esposizione.

I premi, equamente attribuiti a Giovanni Segantini per il Ritorno al paese natío, e a Francesco Paolo Michetti per La figlia di Jorio, furono il frutto di un giudizio salomonico: riconosciute due tendenze artistiche, ne vennero premiate le personalità più rappresentative. La grande tempera di Michetti era stata eseguita a Francavilla a Mare, proprio nel convento dove Gabriele D'Annunzio, amico del pittore, scrisse più tardi una tragedia sullo stesso soggetto. Ma l'opera che suscitò il maggior clamore, per l'argomento ritenuto scabroso (un uomo morente circondato da nudi femminili) fu invece il Supremo convegno di Giacomo Grosso, che vinse il premio assegnato da un referendum popolare, istituito a fine rassegna.

Nel 1897 il nuovo sindaco Filippo Grimani sostituì Selvatico alla Presidenza della Biennale. Per la seconda Esposizione di quell'anno, in concomitanza con la fondazione della Galleria d'Arte Moderna di Venezia, la giuria optò per la conversione dei premi in acquisti, a beneficio delle pinacoteche nazionali e locali. La stessa giuria, con l'intento di migliorare la promozione della manifestazione, istituì un Premio della critica, che da una parte stimolò la produzione di articoli e recensioni, migliorandone il livello, dall'altra segnò una tappa nella storia della critica d'arte contemporanea. La giuria, sostenendo la linea di una critica colta e moderata, assegnò il premio a Primo Levi, mentre le tendenze della critica militante ottennero un secondo posto ex aequo con i premi a Ugo Ojetti e Vittorio Pica (che poi sarebbe diventato Segretario Generale della Biennale).

Nelle prime biennali di Venezia venne abbastanza trascurata l'arte francese, mentre i rapporti privilegiati con la Secession misero in risalto quella tedesca. Già nel 1899, infatti, venne presentata la Giuditta II di Klimt. Intanto un gruppo di artisti italiani diede vita a una corporazione, che proponeva le proprie collettive alle esposizioni pubbliche, vietando ai propri membri di prendere parte singolarmente alle rassegne. Considerata questa linea di dissenso, la Biennale concesse ai corporati di esporre in sale proprie, destinando ai più noti come Michetti e Sartorio una mostra distinta, inaugurando così la nuova formula della personale, applicata dalla III Biennale.

 

IL CASO GROSSO

Un quadro consacrò la prima Esposizione Internazionale d'Arte della città di Venezia del 1895 e sollevò intorno a essa clamore e curiosità: il Supremo convegno di Giacomo Grosso, artista allora famoso, professore all'Accademia Albertina di Torino.

Proprio il Presidente di quell'Accademia, il conte di Sambuy, raccomandò al sindaco Riccardo Selvatico di fare in modo che quel "quadro di ardita composizione fantastica" fosse sistemato in buona luce. Essendo Grosso uno degli artisti invitati alla Biennale, e conoscendone il valore, il primo cittadino non ebbe timore a rassicurare il conte a tal proposito, ma non intuiva certo "quali e quanti grattacapi doveva procurargli quel quadro!" (come fa notare Romolo Bazzoni nella sua storia della Biennale).

Il 10 aprile 1895 l'opera giunse all'Esposizione, e appena tolta dalla grande cassa stupì quanti la videro. Ambientata in una chiesa, raffigurava una camera ardente, con feretro e cadavere attorniati da cinque figure femminili completamente svestite. Nelle intenzioni del pittore torinese, la tela voleva rappresentare la fine di un dongiovanni. Se per chi doveva collocare l'opera, l'unica preoccupazione veniva dagli accesi contrasti di colore, che potevano disturbare la visione dei dipinti vicini, invece per la Presidenza dell'Esposizione il disagio era dato dal soggetto del quadro, che avrebbe potuto offendere la morale dei visitatori.

In pochi giorni la notizia aveva già fatto il giro della città, e molto si mormorava a proposito del soggetto di questo quadro, a cui non era stata ancora data una collocazione. Il Sindaco Selvatico decise di sottoporre la questione a una apposita commissione di letterati, formata da Enrico Panzacchi, Giuseppe Giacosa, Enrico Castelnuovo e Antonio Fogazzaro. La risposta arrivò tramite una lettera di Fogazzaro: "Vi rispondiamo unanimi: no, il dipinto non reca oltraggio alla morale pubblica".

Il giorno seguente però, il Patriarca di Venezia Giuseppe Sarto (futuro Papa Pio X), inviò una lettera a Selvatico chiedendo che l'opera, di cui aveva sentito parlare, non venisse esposta. Il sindaco rispose col verdetto della commissione e l'opera partecipò alla prima Esposizione, sebbene collocata in una sala piuttosto appartata.

La stampa clericale gridò allo scandalo, ne parlarono i giornali italiani e stranieri accendendo ancora di più la curiosità del pubblico. A fine Esposizione, il premio assegnato da un referendum popolare andò a grande maggioranza proprio all'opera di Grosso, e questo risultato destò ulteriori polemiche. Una società acquistò il quadro per farlo conoscere negli Stati Uniti, dove era già arrivata la sua fama. Ma attraversando l'oceano, il Supremo convegno vide la fine della propria avventura, distrutto da un incendio.