All’inizio degli anni Sessanta, ormai ottenuto un eccezionale successo internazionale come cantautrice, Violeta Parra comincia a realizzare le sue canciones que se pintan (canzoni che si dipingono): una serie di quadri, sculture e ricami che si pongono in perfetta continuità con le sue musiche. Le arpilleras – i suoi monumentali arazzi – costituiscono sicuramente il corpus di opere più complesso e, con le loro raffigurazioni ancestrali ispirate all’arte precolombiana, veicolano narrazioni cariche di un pathos senza tempo. Rappresentano donne, uomini o animali radunati in festose scene corali, eventi storici o momenti di vita spirituale. Spesse cuciture di lana, scampoli di macramé e trecce di tessuto lavorato a maglia diventano lo schema di base per dare tridimensionalità alle protagoniste e ai protagonisti. Il lavoro Combate naval I (1964) denuncia i soprusi subiti dal Cile durante la Guerra del Pacifico (1879–1884) e rappresenta la fierezza con cui il più grande eroe nazionale, il capitano Arturo Prat, brandisce una bandiera cilena mentre il suo vascello Esmeralda affonda. In El circo (1961) un gruppo di coloratissimi personaggi danza, balla e canta, forse inebriato dai fumi emanati dalla grossa brocca al centro della composizione, o magari vittima di tutti i mali che quello strano vaso di pandora riversa su di loro. Le arpilleras di Parra rappresentano lo strumento per registrare urgenze al contempo personali e collettive, colte e popolari, locali e internazionali.
Stefano Mudu