fbpx Biennale Cinema 2017 | Intervento di Alberto Barbera
La Biennale di Venezia

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Intervento di

ALBERTO BARBERA

Direttore della 74. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica


Tutto ciò che è virtuale è reale

 

Alla luce degli ultimi sviluppi della rivoluzione che sta cambiando l’esperienza audiovisiva così come era stata configurata a partire dall’invenzione del cinematografo, si potrebbe rispettosamente giocare con la massima hegeliana secondo la quale tutto ciò che è razionale è reale, aggiornandola in tutto ciò che è virtuale è reale. Come approcciare altrimenti un fenomeno sino a pochi mesi fa considerato alla stregua dell’ennesima bizzarria tecnologica, e che oggi sembra invece destinato a trasformarsi in uno dei più imponenti investimenti ai quali l’industria culturale affida una parte consistente del proprio futuro? Quando, all’inizio di quest’anno, abbiamo deciso di rompere gli indugi correndo il rischio di dedicare un workshop di Biennale College Cinema, e persino un inedito concorso, ai prodotti di Realtà Virtuale (più sinteticamente: la VR), non potevamo immaginare che avremmo ricevuto più di 100 proposte di cortometraggi, lungometraggi e installazioni (interattive e non), tra le quali poter scegliere i 22 titoli sottoposti al giudizio di una giuria internazionale e degli spettatori che accederanno al nuovo spazio appositamente allestito sull’isola del Lazzaretto Vecchio, a un passo dal fronte lagunare del Lido di Venezia.

Più vie che si aprono sul domani

È probabile che la VR non sia (non sarà) l’estensione del cinema o il suo futuro, ma qualcosa d’altro e di diverso, destinato a coesistere con esso e a radicarsi in spazi dedicati (sale create ad hoc, musei di arte contemporanea, ecc.). Il fatto, tuttavia, che così tanti artisti e cineasti contemporanei siano al lavoro per sperimentare le potenzialità espressive e creative del nuovo linguaggio, ci è parsa una motivazione largamente sufficiente a giustificare la scelta compiuta.

Quanto al nucleo centrale della Mostra di quest’anno, vorrei invitare alla riflessione su quel che Giulio Paolini dice dei musei, e cioè che “devono consistere piuttosto che manifestarsi”. La tentazione cui molti festival di oggi sembrano cedere, procede invece in direzione opposta, concretizzandosi nel mettere insieme un certo numero di film (spesso troppi), disponendoli uno dopo l’altro – quando non addosso all’altro – come intrattenimento o pretesto da offrire agli spettatori al solo scopo di fare numero e giustificare la propria esistenza. Senza la presunzione di affermare che ci siamo riusciti, quel che cerchiamo di realizzare consiste piuttosto nel tentativo di esporli come si fa con i classici che - diceva Mandel’stam - non vanno intesi come ciò che è stato, ma ciò che deve ancora venire. Più che l’istantanea del presente, o la foto-ricordo della stagione del cinema che stiamo vivendo, i film che proponiamo sono in certo qual modo la percezione del futuro, l’indicazione di una o (meglio) più vie che si aprono sul domani, testimoniano una rincorsa in avanti, scrutano l’orizzonte per avvistare un “dopo”.  Se non ci siamo troppo discostati dalla precarietà di questo traguardo, possiamo ancora una volta rivendicare un senso al nostro lavoro. 

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