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La Biennale di Venezia

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Biennale Danza 2016

Gli spettacoli

Senza il mio corpo lo spazio nemmeno esisterebbe

 

Un programma di 32 titoli, di cui 9 in prima mondiale e altrettanti in prima per l'Italia, e 11 spettacoli della Biennale College Danza 2016.

 

Due corpi, come nudi, avanzano in scena, si avvinghiano l’uno all’altro e non si lasciano più per quindici minuti. Un uomo e una donna con i corpi che si attirano e si aggrappano. Congiunti l’uno all’altro fino a diventare indissolubili. Lei, una liana che si avvolge, si attorciglia. Lui che la tiene, la ritiene, la sostiene. C’è qualcosa di mitico nella loro danza. In questa fusione totale di due esseri che diventano uno per non separarsi più. Eden è l’amore originale, quello dei tempi dell’innocenza. C’è anche qualcosa di crudo, in questo duo. L’immagine dei rumori delle cascate e di temporali che compongono il suono della danza. Eden è una danza piena di forza e di bellezza. Forse a causa di ciò che di naturale si sprigiona dal movimento della purezza e dalla precisione del gesto, dalle figure quasi plastiche, dalla potenza dei corpi. È da lì che sorge l’emozione. Da questa sobrietà che rivela l’essenziale. Se l’amore è una danza, è sicuramente Eden.

Yasmine Tigoe

Il compositore Dan Kinzelman e il coreografo Daniele Ninarello per la prima volta si incontrano in un territorio di esplorazione comune: lo spazio come luogo in cui esercitare e trasfigurare il corpo, sonoro e fisico, la sua precarietà, la sua impermanenza, la fatica della resistenza.

Dan Kinzelman lavora improvvisando dal vivo con l’elettronica, mescolando sintesi, rumori interni delle macchine e feedback, assieme a suoni generati dagli strumenti che da anni utilizza maggiormente: sax, clarinetto, flauti, stratificando i vari elementi con l’ausilio di una loop station.

Nel comporre la parte coreografica Daniele Ninarello, oltre a ricercare nel campo a lui abituale della composizione istantanea, opera in un territorio che si crea dal dialogo continuo con il paesaggio sonoro e le informazioni che da questo riceve per contattare quei fili invisibili che uniscono corpo e spazio. La sperimentazione sonora e quella corporea tendono dunque a tradurre gli elementi percettivi attraverso cui l’evolversi della figura umana si rende visibile. Qualcosa all’interno del corpo vibra costantemente come una minaccia: è il caos, il rumore interno delle cicatrici e dei pensieri. E riguarda tutti. Soltanto la danza può assestare progressivamente queste tracce nel qui e ora. E ripulire lo sguardo, trovare pace. Come un vero e proprio mantra fisico da esplorare nella sua continuità: perimetro muto di un pensiero correttamente liberato.

Outlander è una coreografia creata per lo spazio del Cenacolo Palladiano della Fondazione Giorgio Cini, spazio arricchito nella sua parete di fondo dalla grande tela del Veronese raffigurante le Nozze di Cana. Shobana Jeyasingh, una delle esponenti più autorevoli della danza contemporanea inglese, ha realizzato questo site specific work come un contrappunto del celebre luogo palladiano. Anche gli elementi di contrasto presenti nella coreografia nascono dal dialogo con lo spazio, sono una risposta e un omaggio al luogo e alla sua straordinaria realtà composta di un fitto reticolato di linee, ritmi, colori, figure, dentro cui i danzatori iscrivono la loro danza. «È come una partita a tennis – sostiene la coreografa – tu puoi ribattere soltanto quello che ricevi».

Nel Cenacolo Palladiano della Fondazione Giorgio Cini, Shobana Jeyasingh ha individuato tre luoghi principali dove intessere il suo contrappunto coreografico: l’elegante e sobrio disegno architettonico del Palladio; poi, quasi in contrasto con esso, l’esuberante dipinto del Veronese, colmo di gesti e presenze umane; infine, dentro il dipinto stesso, la figura di Cristo: «un posto di quieta neutralità oltre ogni schema o comportamento».

Vito Di Bernardi

Durante il suo percorso di ricerca presso P.A.R.T.S. Academy, Camilla Monga ha presentato Quartetto per oggetti, un progetto iniziato con la partecipazione dei danzatori di Training Cycle, la collaborazione artistica di Jacopo Jenna e Luca Scapellato. Il quartetto rielabora l’idea compositiva di Edgard Varèse in Ionisation mediante l’utilizzo di oggetti che divengono lo strumento base per definire una serie di possibilità fisiche. Camilla Monga utilizza la stessa logica per ricreare una nuova versione del quartetto riadattata agli spazi della Biennale. A Venezia la performance prende il nome di 13 Objects e propone una struttura poliritmica influenzata dalle proprietà fisiche di oggetti comuni. Le loro funzioni determinano azioni le cui componenti direzionali sono imprevedibili e servono come base per l’espansione e la variazione del ritmo. Il risultato è un’intensa visione parossistica che raggiunge un caos illusorio e una logica surreale.

Questa non è un’opera di flamenco.

In OneTwoThreeOneTwo, una coppia di danzatori maschi usano i loro corpi e le loro voci per chiedere, cos’è il flamenco? Come fa questo linguaggio non scritto – musica e danza allo stesso tempo – a creare una comunicazione così intensa e immediata?

Il flamenco è un genere antico, ma vivo. Dalle radici più profonde della musica gitana ai grandi spettacoli odierni, la sua potenza nasce dalle stesse sequenze ritmiche fondamentali: 123 123 12 12 12. L’intimità e il coinvolgimento del pubblico nel tablao flamenco genera un groviglio complesso di significato, espressione e narrazione – un insieme unico di riti e di tecniche che continuano a crescere e a evolversi.

OneTwoThreeOneTwo scardina il flamenco, per indagare ogni aspetto della sua singolare magia.

La scena è abitata da tre performer uomini. A ognuno è affidata un’asta di rame. Un materiale resistente, freddo al tatto e apparentemente privo di vita si mostra nelle sue possibilità di essere agito. Così attraverso la caduta, la sospensione e l’assemblaggio di questi tre elementi lo spazio muta insieme ai suoi corpi costantemente alla ricerca di nuove strategie di collaborazione. Cosa costruire, una domanda insita nella danza stessa dove il desiderio ne anima la ricerca. Può rivelarsi la più grande conquista o il più grande fallimento; costruire diventa pretesto per i tre di avvicinarsi a un dialogo fatto di responsabilità e accoglienza. La tattilità permette esitazioni e tregue in cui incontrare un paesaggio e viverlo. In questo lavoro Lara Russo continua a interrogarsi sulla convivialità della materia e l’umano, nella solitudine e in comunione; sulle potenzialità e la poetica dell’intelligenza collettiva. La collaborazione con l’artista francese Mahatsanga le Dantec è occasione di ricerca sulle geometrie corporee, le possibilità materiche e sonore, verso una visione della scena in sospeso tra archetipi e nuove identità.

In Vortex Temporum Anne Teresa De Keersmaeker affronta la polifonia del capolavoro omonimo di Gérard Grisey con un contrappunto danzato per sette danzatori. Approfondendo la questione: «Come visualizzare la polifonia danzandola?». 
De Keersmaeker ha scelto di portare in scena un intreccio complesso di suono e movimento. Ogni danzatore è legato ad uno dei sette musicisti, e colora la sua danza con gli schemi di movimento propri dello strumento. Sia i danzatori che i musicisti si muovono in scena seguendo un disegno – un vortice – di cerchi volteggianti. Osserva De Keersmaeker: «Il tempo può essere visto come lineare o ciclico. Ciò che noi chiamiamo “adesso” è di fatto un punto critico permanente; un gioco di equilibrio fra memoria e anticipazione, oscillando indietro e in avanti fra l’immagine-fantasma del passato e la voglia del futuro».

Mi ritrovo spesso a fare e disfare il mio zaino. A riempirlo di oggetti utili, quelli che per certo userò, che non posso dimenticare, gli indispensabili; di oggetti di cui potrei avere bisogno, perché non si sa mai; di oggetti che userò solo una volta, gli insostituibili; poi ci sono gli oggetti che sono stati dimenticati, che non ricordavo più di avere lasciato lì, e ci rimangono, quasi per caso. Nella mia vita un po' nomade nutro un rapporto speciale verso il mio zaino. Mi costringe ogni volta a una scelta obbligata. Cosa metto dentro e cosa lascio fuori, ciò che rimane fuori è forse meno importante di quello che entra, un filtro tra me e tutto il resto. In questo nuovo progetto, torno a sviluppare in assolo una partitura coreografica che nasce dall’urgenza di mettermi in relazione, in modo intuitivo, con i miei oggetti. Come questi oggetti possono modificarmi e determinare il farsi e il disfarsi della mia immagine, come la trasformazione può essere subita e obbligata, agita da elementi esterni e svincolata dalla mia intenzione e volontà, come posso ribaltare l’idea di possesso, restituendo agli oggetti il loro ruolo dinamico di agenti attivi Lo zaino, come il guscio di una tartaruga, mi nasconde, mi offre protezione, mi pesa, mi costringe a non staccarmene mai. Lasciando e ritrovando quegli oggetti, utili e inutili a volte, che contiene, mi lascio trasformare, abitare dai loro colori, forme e funzioni, sempre e comunque con me, nel mio vagare, in ogni luogo.

... un essere che corre verso il futuro incrocia un essere che corre verso il passato, due impronte che si obliterano in eterno, punta tallone, tallone punta.

(Yeats, Una Visione)

Pulse Constellations di Gabriel Schenker parte dalla composizione elettronica di John McGuire, Pulse Music III del 1978, un pezzo complesso e stratificato nato da un’immagine aurale di movimenti nello spazio. Il pezzo accoglie una varietà di pulsazioni, di tempi e di melodie per formare una sequenza di 24 sezioni distinte ma legate fra loro che si innestano l’una nell’altra in modi improvvisi ed inaspettati. La qualità dei suoni, la pienezza della composizione e il suo costante, inquietante movimento attraverso lo spazio conferisce all’opera una qualità stellare e cosmica. In Pulse Constellations, il coreografo e danzatore Gabriel Schenker destruttura e ristruttura la complessa rete degli strati pulsanti della composizione.

Un caleidoscopio di ritmi e di coordinamenti attraversano il suo corpo in ritmi sovrapposti. Con il suo spettacolo, Schenker indaga i limiti fra il matematico e l’organico, la precisione digitale della musica elettronica e l’analogica imprecisione di una danza, i confini fra il danzabile e l’udibile. Pulse Constellations segue le strutture compositive di Pulse Music III frammentandolo in parti più piccole, seguendone il flusso, e aggiungendo linee melodiche e ritmiche attraverso lo spazio condiviso aurale e visivo.

dbddbb è una coreografia rumorosa e intricata, guidata da una semplice ma intransigente regola: ogni passo deve essere seguito da un altro. In questa nuova creazione di Daniel Linehan, cinque danzatori stanno salmodiando ed eseguendo una “marcia”. Può essere un esercizio militare, ma anche una marcia di protesta, un esercizio sportivo o un gioco; può essere un incantesimo rituale o una festa danzata. I performer non accompagnano i loro passi con parole, canzoni o slogan ma con canti liturgici in stile dada. I loro suoni e ritmi non danno informazioni ma divengono invece un’entità fisica e danzante nello spazio. dbddbb indaga i piaceri e i pericoli delle forze che legano un gruppo. Invece di un classico unisono, la coreografia propone una marcia con un complesso affiatamento, con coordinazioni dinamiche che lasciano spazio all’individuo. I danzatori si muovono sullo stesso battito, ma secondo ritmi individuali; muovono nella stessa direzione ma con gesti individuali; si muovono con lo stesso tempo ma con canti individuali. Come possiamo riattivare continuamente e invigorire di nuovo il nostro senso di affiatamento anche quando i nostri punti in comune continuano a spostarsi? Possiamo trovare modi di movimento insieme senza perdere noi stessi? Camminando nei piaceri della voce, dbddbb suggerisce che potrebbe essere necessario inventare una nuova lingua per riuscire a compiere il passo successivo.

Il nero come sintesi universale, come simbolo di potenza misteriosa, generatrice e complessa, che racchiude l’intelligenza della costruzione, che anticipa la fase della nascita. Luogo degli inizi, luogo di attesa, lo immagino come una grotta che trattiene potenza e germinazione. Qui lo scorrere del tempo è sospeso, occupa uno spazio parallelo a quello del reale. Qui i nostri corpi riorganizzano un’idea di origine e vicinanza, di tensione l’uno verso l’altro e verso il primo istante. Il nero è una magnetica distanza temporale, come le prospettive di età diverse: un intervallo di 31 anni.

Col passare del tempo ho sentito sempre più spesso la necessità di limitare e mettere in crisi il mio movimento nello spazio, di stare sul bordo, sentire la vertigine dell’equilibrio. Trovare un posto e cercarne subito un altro, saggiare la gravità, la misura delle cose, la libertà nello spazio. Questo succede molto concretamente quando uso degli oggetti e delle forme geometriche semplici, quando riesco a confinare il corpo mettendolo in relazione con qualcosa di definito. Quando mi rapporto con persone che hanno esperienze diverse dalla mia, età e approcci diversi. Credo che tutto ciò abbia a che fare con la ricerca di un’origine, col tentativo di riscoprire l’istinto o sentire l’istante del principio. Con la necessità di scrollarsi di dosso la consapevolezza e di mettere un’attenzione diversa al tempo e allo spazio, e forse avanzare «a ritroso».

In Planes un film di riprese aeree (di Jud Yalkut) viene proiettato su di un muro con dei buchi equidistanti tra loro. Tre danzatori scalano la superfice del muro in slow motion, dando l’illusione di cadere.

(Trisha Brown)

Planes è un’indagine sui corollari fra lo spazio psichico e la fuga psichica della coscienza oltre la biosfera della Terra. Concepire il teatro come tunnel verticale nel quale il pubblico è sospeso in piani di file. La città come centro magnetico centralizzato, con un momento perpendicolare, diventa la valvola di fuga per una ascesa continua, attraversando le poetiche del macro- e del micro-cosmo, culminando nella breve e rapida decelerazione del rientro. (Jud Yalkut)

Opal Loop potrebbe essere danzato sulla superficie del sole, a quanto pare, senza perdere la sua cupa eleganza.

(Jennifer Dunning, «The New York Times»)

Locus è una singola frase di movimento, in cui Trisha Brown ha usato una semplice matrice di punti, esterna al suo corpo, verso la quale orientare o dirigere il suo movimento.

In memoria dell’amico di Trisha Brown, Michel Guy, For M.G.: The Movie si basa sul movimento inconscio e sul legame tra emozione e astrazione. Trisha Brown spiega: «Volevo che i danzatori apparissero e sparissero dal palcoscenico come succede nei film, non che si muovessero sul peso delle loro gambe. Volevo mistero, un gioco di prestigio con il corpo».

Emanuel Gat

Yasmine Hugonnet

Thomas Hauert

Tre coreografi ospiti affronteranno tre esperienze di creazione in altrettanti spazi deputati. Oltre alla presentazione di una produzione con la propria compagnia, la presenza dell’artista è pensata in forma di durata e trasmissione, di comprensione e di analisi di luoghi interni e all’aperto. Per la sezione Agorà/Aperto_campi veneziani, con i danzatori di Biennale College elaboreranno un dittico composto da una creazione da presentare al chiuso e in un campo veneziano all’aperto, articolando le pratiche di ricerca secondo una dimensione organica della città.

 

Emanuel Gat Dance / Emanuel Gat / Awir Leon
Sunny
Emanuel Gat insieme ad Awir Leon, produttore, musicista e artista, ha creato SUNNY come un evento stratificato, affiancando un concerto musicale dal vivo ad una vibrante sperimentazione coreografica. Un’esplosione di idee, SUNNY è un flusso in forma libera di una fusione fra suoni nuovi e un’indagine approfondita delle possibilità coreografiche contemporanee.

 

Yasmine Hugonnet
La Ronde / Quatuor
Una danza in tondo con quattro corpi. Quattro danzatori che connettono attraverso gesti reciproci e ricambiati. Una danza in tondo con visi, spalle e movimenti che girano su se stessi come una linea del tempo su un vaso. Una danza in tondo è lo spazio che serve al tempo per trasformare un danzatore in quello seguente. Ognuno si dispiega nel prossimo seguendo una danza condivisa attorno a un vuoto di memoria.

 

Thomas Hauert (CH) / ZOO inaudible
In questo nuovo brano collettivo per sei danzatori, Thomas Hauert indaga l’idea di «interpretazione». Attraverso la decostruzione di codici e di strati culturali, inaudible presenta un gioco fra arte elevata e cultura popolare, fra diretta seduzione e aspettative ingannevoli che rendono il linguaggio del coreografo accessibile ma imprevedibile.

In inaudible, varie forme di interpretazione lavorano insieme per creare l’esperienza artistica. L’interpretazione come modalità esecutiva di un brano o di uno spartito: l’interpretazione del performer.

Poi l’interpretazione dell’arrangiatore che inventa l’orchestrazione sulla base del materiale musicale di partenza – nel caso del Concerto in F, la fonte è la versione per due pianoforti scritta da Gershwin nella prima fase di creazione di questo pezzo. Gershwin stesso scrisse l’orchestrazione per orchestra grande e pianoforte; l’arrangiatore Ferde Grofé (che era l’autore dell’orchestrazione originale di Rhapsody in Blue) aveva scritto una versione per orchestra più piccola nel 1932.

Poi c’è l’interpretazione che guida il coreografo/direttore nella composizione di tutti gli elementi della drammaturgia; l’interpretazione delle singole situazioni da parte dei danzatori che reagiscono agli eventi in scena mentre improvvisano, ma anche l’interpretazione come significato attribuito ad un segno, un suono o un gesto: l’interpretazione dello spettatore.

Nacera Belaza

Adriana Borriello

Isabelle Schad / Laurent Goldring

Annamaria Ajmone

Cinque coreografi presentano quattro dittici composti ognuno da una creazione presentata con la loro compagnia, e una con i danzatori di Biennale College – Danza, articolando le pratiche di creazione e ricerca secondo una dimensione organica della città. 

 

Nacera Belaza

La Traversée

Sur le fil

La Procession

La Traversée
Quello che mi sta a cuore in questo nuovo progetto è di spostare la ricerca sulla memoria sacra del corpo verso altre culture. La questione centrale che anima questa ricerca rimane ai miei occhi, in che modo collegare una scrittura coreografica come la mia ad una dimensione ancestrale portata nei corpi, sepolta nei corpi?

Sur le fil
Ciò che permette alla scrittura di durare e di andare oltre lo spettacolo in scena si trova nel rischio assunto volontariamente da ogni danzatore. La sua capacità di richiamare incessantemente una forma rigorosa, dove le regole complessive della scrittura prevedono anche di infrangerle, fino a che corpo e mente si arrendono e non rappresentano più un limite. Questa doppia esortazione lascia spazio ad una esperienza paradossale, un misto di sottomissione infinita e di abbandono.

La Procession
Un gruppo di spettatori (un corpo unico) sarà portato a circolare all’interno di un percorso sensoriale che gli permetterà di scoprire il luogo, gli oggetti, la coreografia che tracceranno questo percorso. Sarà una maniera di creare nello spettatore una sensibilità e un’apertura che gli permetteranno di astrarsi dal suo funzionamento, comportamento e percezioni abituali. Mediante il proprio stato corporale proverà una ricezione acuta dello spazio, dei suoni, degli oggetti. La percezione sarà così trasformata, esacerbata. Sarà anche importante integrare l’oggetto all’interno di questo percorso per sottrargli il suo aspetto «materiale e aneddotico» e conferirgli allo stesso modo una dimensione onirica che diffonda e trasmetta la sua funzione e il suo immaginario.

 

Adriana Borriello

Col Corpo Capisco #2

La conoscenza della non conoscenza

Col Corpo Capisco non è solo un titolo, ma una dichiarazione, un manifesto, un modo di stare al mondo. Al centro del progetto modulare la trasmissione da corpo a corpo che pone in primo piano il sentire e genera forme di comunicazione empatica. La danza, essenza dell’atto «inutile» che riflette su se stesso, diventa medium di conoscenza della non- conoscenza, sapienza del corpo, dell’esserci.

Il primo movimento, Col Corpo Capisco #1, costituisce la partitura originaria che raccoglie i fondamenti della prassi e funge da tema.

Col Corpo Capisco #2 è la prima variazione generata dalla «visita» di una quarta interprete che, nel confrontarsi con i principi e la scrittura coreografica del tema, apre a nuovi quesiti e obbliga a una ri-generazione e ri-scrittura della partitura coreografico-musicale originaria. Qui la danza è insieme l’atto e la sua contemplazione, il creativo che diviene ricettivo, e viceversa; qui il corpo è sostanza elementare, spazio-tempo che si materializza e s’incarna in forme visive e sonore, è timbro e risonanza che tocca l’altro e svela l’invisibile, l’inudibile, l’indicibile.

La conoscenza della non conoscenza parte da una partitura coreografica elementare che tocca i fondamenti poetici e pedagogici della proposta – corpo ontologico, corpo musicale, corpo antropologico – e che costituisce il principio di un nuovo percorso creativo

verso una nuova imprevedibile forma. Il dialogo tra testo (partitura pre-esistente) e contesto (chi, come, dove, quando) come occasione di ri-generazione. La conoscenza della non conoscenza è pratica/esercizio di impermanenza, unicità dell’atto, continuo presente. Non resta che esercitare la fiducia (nel corpo?) e accettare il rischio.

 

Isabelle Schad / Laurent Goldring

Der Bau

Collective Jumps

L’inebriante opera di teatro-danza Der Bau creata dalla coreografa Isabelle Schad, che lavora a Berlino, e dall’artista francese Laurent Goldring, si ispira all’omonima novella incompiuta di Franz Kafka. Con un insieme di movimento lussureggiante, feroce e a volte austero, in uno spettacolo senza veli, Schad usa la tana di un animale come metafora per il corpo umano. Il labirinto di Kafka – descritto come uno spazio che deriva dal corpo ma gli appartiene – è evocato da un grande telo sovrastante, egregiamente manipolato per alterare in modo drammatico il rapporto fisico e visivo fra il corpo e lo spazio.

Collective Jumps affronta i temi della collettività e della resistenza, indagando i rapporti possibili fra libertà e forma con un gruppo di danzatori. Può la creazione di un corpo infinito, unito, mostruoso diventare un luogo di resistenza?

 

Annamaria Ajmone

Tiny Extended

Imaginary Gardens with Real Toads in Them

In Tiny Extended esploro il mio corpo come un archivio popolato da memorie personali e culturali, fantasie, forze invisibili, echi lontani, suoni, odori, immagini. Individuo e seleziono tracce di me, attraverso le quali viene vissuto e costruito lo spazio da abitare. Il processo di metamorfosi interiore si confonde con quello esteriore, contamina lo spazio in un continuo gioco di risonanza. Tiny Extended è una ricerca sulle zone-limite, dove non esiste una vera separazione tra universo esterno e contenuti interiori, poiché l’Io non è mai isolato da ciò che lo circonda, ma si definisce a partire dalle sue relazioni e grazie a esse impara a conoscere. L’idea di Tiny Extended nasce in seno ad un progetto di ricerca iniziato nel 2013 con la filmmaker Maria Giovanna Cicciari, il cui scopo era indagare la relazione tra l’immagine in movimento e la danza (www.radura.it). Il lavoro si è sviluppato in maniera totalmente libera, alternando sessioni di lavoro al chiuso ad altre all’aperto. Da questi continui passaggi è nata l’esigenza di creare uno spettacolo che approfondisse le relazioni, gli scambi, e le trasformazioni che esistono, sia a livello temporale che spaziale, tra mondo interiore ed esteriore. Tiny Extended riflette su come l’essere umano esista nel mondo abitando lo spazio. Dove abitare assume il significato di abbracciare, percorrere, stare, soggiornare presso le cose.

Imaginary Gardens with Real Toads in Them prende spunto da alcuni studi di botanica reale e parallela. Prevede l’esplorazione di sistemi di interconnessione con l’intento di creare uno spazio e un tempo intimo ma condiviso.

Emanuel Gat

Yasmine Hugonnet

Boris Charmatz

Sandy Williams / Rosas

Thomas Hauert

Claudia Castellucci

Virgilio Sieni

Il progetto Agorà propone un ciclo di coreografie inedite realizzate dai coreografi ospiti al Festival e interpretate da 120 danzatori di Biennale College – Danza dando luogo a una ricerca di verifiche e variazioni in relazione all’aperto, ai margini e ai volumi dei campi veneziani scelti. Sette coreografi elaboreranno una ricerca che sarà mostrata al pubblico all’aperto. Un vero e proprio Festival nel Festival che propone un continuum di eventi organizzati secondo una geografia di campi e di camminamenti del pubblico.

 

Emanuel Gat

Venice

Venice è un ulteriore esperimento sui processi coreografici accelerati, intrinsecamente legati e generati dal loro contesto immediato (il tempo, il luogo e i danzatori coinvolti). Quindi, un sistema emergente che rappresenta molte idee e ricerche, e che prende forma ‘nel movimento’. Un modo di guardare la coreografia non come qualcosa che si fa, ma come qualcosa che SUCCEDE.

 

Yasmine Hugonnet

Unfolding Figures

Il percorso si basa su una pratica del movimento che considera tutto ciò che si muove: l’attenzione, la sensazione, l’immaginazione, non solo il movimento visibile: de-priorizzare l’organizzazione del corpo / ridistribuire staticità e mobilità, stabilità e instabilità / impegnarsi nella danza come stato di produzione, e allo stesso tempo di ricezione.

Lavorare con l’idea di posture come contenitori (che raccolgono risonanze su vari livelli: sensoriale, immaginario, simbolico...) che invitano ad impegnarsi profondamente nella fisicità e nell’attenzione.

 

Boris Charmatz / Olivia Grandville / Magali Caillet-Gajan

Levée des conflits

Levée des conflits è l’esito finale di un workshop realizzato con i danzatori di Biennale College. Durante il workshopogni danzatore è preso in un movimento permeabile sia al danzatore che lo precede che a quello che lo segue, per creare una coreografia nella quale ogni parte può essere vista simultaneamente. I corpi si susseguono in continuazione l’uno dopo l’altro, in modo che se la struttura gira senza fine, la forma stessa rimane totalmente stabile. È una scultura. Il pezzo è quindi essenzialmente meditativo... Non può esistere senza che i corpi l’attivino in modo sottile. Questa coreografia mi ricorda irresistibilmente la definizione soggettiva del Neutro secondo Roland Barthes: il neutro come desiderio della sospensione dei conflitti. Il progetto è allo stesso tempo minimale e totalmente fuori misura: minimale perché il pezzo può essere afferrato tutto insieme in uno sguardo, fuori misura perché la compagnia è grandissima e mossa da una infinità di gesti di respiro.

Boris Charmatz

 

Sandy Williams / Rosas

My Walking Is My Dancing

My Walking Is My Dancing è l’esito finale di un workshop realizzato con i danzatori di Biennale College. È una modalità di generazione e di analisi del movimento alla base di gran parte del lavoro di Rosas negli ultimi anni.

Si tratta di un modo di interrogare i confini fra i movimenti banali del quotidiano e i movimenti virtuosistici del danzatore.

Serve anche come cornice attraverso la quale si può valutare ed esplorare il movimento e la coreografia, creando un vocabolario condiviso fra tutti i collaboratori e formando una base imprescindibile a partire dalla quale si possono tracciare variazione e cambiamento.

Insieme al compito di My Walking Is My Dancing, i partecipanti possono indagare altre tecniche fondamentali di composizione utilizzate da Anne Teresa De Keersmaeker e da Rosas nel repertorio attuale e sperimentare la loro applicazione nella creazione e nello spettacolo.

 

Thomas Hauert

Tools for Dance Improvisations

Ogni articolazione del nostro corpo ha un suo arco di movimento, ci sono infinite possibilità di combinazione. Il corpo possiede un grande sapere pratico ben oltre ciò che la mente è capace di elaborare, che porta a un senso di orientamento fluido e mutevole e che può servire da sensore per un potenziale movimento. Attraverso l’improvvisazione (di gruppo) con uno o più partner, scambiandosi informazioni attraverso il tatto, approfitteremo di questo fenomeno per creare forme, ritmi, e qualità di movimento molto più raffinate di quelle che potrebbe inventare la nostra mente.

 

Claudia Castellucci

Verso la specie

L’egemonia della danza qui proposta è la musica e non il corpo. Non si tratta di espressione del corpo, ma di presenza fisica ininterrotta, preparata e decisa ad affrontare il tempo che si manifesta nella musica. 
Occorre trattare il passato quando questo è già confluito nel presente, e anche la pausa è un momento responsabile della presenza. Il movimento principale è una deambulazione corale costruita su alcuni canoni ispirati alla metrica della poesia arcaica greca e al movimento essenziale dei cavalli. La danza è una rivelazione della presenza individuale, la quale si staglia dal – e grazie al – movimento corale.

 

Virgilio Sieni / Michele Rabbia

Danze sulla debolezza

Lo studio sarà concentrato sulla trasmissione e le risonanze attraverso il discorso articolare del corpo. Un’indagine sulla tattilità tra spazio condiviso e luogo del corpo. Il percorso ospiterà anche cittadini e prevede l’utilizzo di oggetti per la costruzione di dimore.

 

Marina Giovannini

Manfredi Perego

Chelo Zoppi

Il progetto Vita Nova propone per il quarto anno un metodo di trasmissione rivolto a giovanissimi danzatori tra i 10 e i 16 anni. Progetto innovativo, approdo per molte esperienze diffuse sul territorio nazionale, e che in questi anni si è sviluppato in vari territori italiani proliferando percorsi coreografici e di formazione. I tre coreografi scelti lavoreranno a una nuova creazione con altrettanti gruppi di giovanissimi danzatori selezionati, quest’anno, in collaborazione con le regioni italiane di Marche e Toscana.

 

Marina Giovannini / Manfredi Perego / Chelo Zoppi

Quattro #Venezia

Primitiva

Four

Quattro #Venezia – Ritorno dentro ciò che è quello che è in quattro direzioni e nella circolarità, per un esercizio che diventa significato, immediatamente leggibile in ciò che si mostra. È intrigante limitare il movimento nello spazio, saggiare la misura delle cose, la gravità, stare sul bordo, sentire la vertigine dell’equilibrio. Trovare un posto e cercarne subito un altro, entrare nelle forme geometriche semplici, confinare il corpo mettendolo in relazione con qualcosa di definito e confinare la libertà per sapere che esiste. (Marina Giovannini)

Primitiva è una parola che richiama un tempo lontanissimo, forse talmente lontano da non poter nemmeno essere immaginato, assaporato, vissuto. Primitiva implica una percezione del tempo che è fuori dalla nostra comprensione. La nostra esperienza del tempo è infinitamente assurda, rispetto a quello della terra, ma così potente da condizionare fortemente la nostra vita. Primitiva non è un percorso coreografico che però si confronta col tempo, ma è una ricerca coreografica su ciò che possiamo ancora sentire come primitivo nel corpo. Desidero ricercare elementi base di percezione del corpo, di un movimento primitivo, che si ponga poi al servizio di una ricerca coreografica. (Manfredi Perego)

Four nasce da un percorso di formazione e creazione che le quattro giovani danzatrici hanno attuato in questi anni. Percorso che le ha introdotte alla conoscenza del corpo e al suo muoversi attraverso le pratiche del contemporaneo. I loro corpi, ancora indecisi sul farsi adulti, mostrano la fragilità del segno e la freschezza del pensiero scevro da qualsiasi senso, se non quello del danzare il propio sogno. In questo brano la danza si attiene al corpo e alle leggi fisiche che lo scandiscono, evidenziando tratti di preziosa leggerezza. (Chelo Zoppi)

Elisabetta Consonni

Cristina Pancini

Andrea Montesi

Adriano Cancellieri

Raccolta di tracce, espressioni, gesti, margini, dettagli e spazi: una équipe, formata da un sociologo urbano (Adriano Cancellieri), un architetto (Andrea Montesi), una artista-diarista (Cristina Pancini) e il coreografo/danzatore stesso (Elisabetta Consonni), indagherà un tratto territoriale, restituendone le tracce attraverso brevi cicli di danze, condivisioni, archivio di dettagli.

Il simposio Ergonomica. Connecting dance and architecture in urban areas è a cura di Connecting Cultures ed Elisabetta Consonni

Abbastanza spazio per la più tenera delle attenzioni è assieme un laboratorio, un esito performativo itinerante costruito assieme ai partecipanti, un’installazione presso il Laboratorio delle Arti di Ca’ Giustinian.

Le componenti coreografica, sociologica, architettonica e artistica cooperano nello strutturare una modalità di appartenenza allo spazio pubblico che preferisce non stanziare ma vuole abitare i flussi e gli attraversamenti e prendersi cura degli interstizi. Il processo è aperto a danzatori, artisti, sociologi, architetti, ma anche a camminatori professionisti, camminatori sulle acque, sui carboni ardenti, a Caronti, a spiriti oltrepassanti i muri, a turisti e passanti. Nella stanza: un diario di bordo srotolabile di lunghezza pari alla memoria dell’esperienza, corpi in movimento (i vostri), tracce di dialoghi con e sullo spazio, dispositivi praticabili che accompagnano l’orientamento, le esperienze di un gruppo nel ricavare abbastanza spazio per la più tenera delle attenzioni.

Spazio Ergonomico è un convegno che inaugura il network europeo Ergonomica risultante dalla cooperazione di nove partner europei operanti nel campo delle arti performative e dell’architettura. Ergonomica intende promuovere la relazione tra danza e architettura come strumento di rigenerazione urbana. Il titolo del progetto fa riferimento alla scienza dell’Ergonomia che studia l’interazione tra il corpo umano e lo spazio costruito. La danza, presa in considerazione per la sua capacità di stimolare una coscienza incorporata dello spazio, è un potenziale strumento rigeneratore urbano e attivatore di un senso d’appartenenza allo spazio sia pubblico che privato.

Biennale Danza 2016
Biennale Danza 2016