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Biennale Teatro 2020

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Il Festival

È immaginato come un “Padiglione Teatro Italia” il 48. Festival Internazionale del Teatro firmato dal Direttore Antonio Latella, un’esposizione collettiva di artisti italiani in scena dal 14 al 25 settembre 2020 a Venezia con 28 titoli per 40 recite, tutte novità assolute attorno a un unico tema, la censura.

“In questi tre anni – afferma Antonio Latella - ho voluto evidenziare artisti internazionali da far conoscere al pubblico italiano, e quindi anche agli artisti italiani. Cercando nella programmazione un confronto diretto, una contaminazione capace di arricchire il nostro bagaglio di ricerca. Il quarto anno diventa per me la valorizzazione del teatro italiano. Abbiamo cercato di costruire una mappatura di artisti che sono al di fuori di queste leggi e che raramente vengono programmati dai teatri istituzionali, ma che si stanno imponendo all'attenzione della critica e degli operatori; artisti che, soprattutto, stanno costruendosi un loro pubblico, fortemente trasversale e che esce dalla costrizione dell'abbonamento. Molti artisti invitati sono giovani, alcuni giovanissimi usciti dal College di Regia della Biennale (per valorizzare il percorso fatto in questi anni, che si è preso la responsabilità di provare a lanciare nuovi talenti italiani), altri più grandi ma solo per questioni anagrafiche”.

Gli artisti

Leonardo Lidi, Fabio Condemi, Leonardo Manzan, Giovanni Ortoleva e la vincitrice dell’edizione 2019/2020 Martina Badiluzzi sono i registi usciti dal vivaio di Biennale College, nati a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, ognuno con la propria fisionomia, una lingua definita con cui scrivono il teatro dei nostri giorni. Con loro anche Caroline Baglioni, promossa dal College Autori Under 40. Vicini, per generazione, sono Pablo Solari - regista, drammaturgo, musicista, nonché autore di serie web con il gruppo satirico “Il terzo segreto di satira” - e Alessandro Businaro, regista e autore.

Le compagnie presenti al Festival, nate tutte nel nuovo millennio, sono formazioni indipendenti raccolte attorno a un’idea, un modo di fare teatro che esca dalle consuetudini. Dal duo AstorriTintinelli, autori di sarcastici adattamenti di classici che hanno in Ceronetti e Leo De Berardinis il loro punto di riferimento, a Biancofango, oggi fra i gruppi più apprezzati; da Industria Indipendente, collettivo di ricerca dedito alle arti performative e visive, a Babilonia Teatri, già premiati con il Leone d’Argento alla Biennale di Venezia nel 2016; da Nina’s Drag Queens, che rileggono in chiave ironica e iper-espressiva, ovviamente en travesti, classici della tradizione teatrale, al Teatro dei Gordi, tutti attori e attrici della Scuola “Paolo Grassi” di Milano diretti da Riccardo Pippa, fino alla più recente formazione tutta al femminile di UnterWasser, fondata nel 2012 da Valeria Bianchi, Giulia De Canio, Aurora Buzzetti, che sono performer, autrici, ideatrici, costruttrici degli oggetti scenici delle loro opere, “installazioni mobili” tra teatro e arte contemporanea.

Nel solco di una ricerca autonoma si muovono Daniele Bartolini, Filippo Michelangelo Ceredi, Liv Ferracchiati, Antonio Ianniello, Giuseppe Stellato.

Da Firenze alla “spontanea” immigrazione in Canada, Daniele Bartolini affronta temi odierni attraverso la partecipazione attiva del pubblico in contesti performativi site-specific e immersivi; artista visivo, filmmaker, performer Filippo Michelangelo Ceredi, che è laureato in filosofia ed è stato assistente alla regia di Marco Bechis, crea installazioni live sotto lo sguardo del pubblico facendo circuitare immagini d’archivio e memoria collettiva; Liv Ferracchiati, alla Biennale Teatro 2017 con la sua Trilogia sull’identità, regista e autore dei suoi lavori; Antonio Ianniello attore, drammaturgo, regista, con studi sulla percezione, ha sviluppato strange tools, dispositivi che permettono di osservare il proprio processo cognitivo; Giuseppe Stellato, artista e scenografo, autore di un ciclo performativo sul rapporto uomo-macchina, di cui alla Biennale si sono viste le prime tappe.

E ancora: figure consolidate nel panorama nazionale come Fabiana Iacozzilli, che si è imposta all’attenzione attraverso un teatro sorretto da un forte impianto visivo e scenico; Giuliana Musso, tra le maggiori esponenti del teatro di narrazione e d’indagine, un teatro che si colloca al confine con il giornalismo d’inchiesta, tra indagine e poesia, denuncia e comicità; Jacopo Gassmann, attivo tra teatro e cinema, che ha saputo imporre all’attenzione nuove drammaturgie che si sono affermate in Italia anche grazie alle sue traduzioni.

Infine Mariangela Gualtieri, poetessa, attrice, autrice che ha marcato il rinnovamento del teatro italiano negli anni ‘80. A lei è affidata l’inaugurazione del 48. Festival Internazionale del Teatro con uno dei suoi preziosi “riti sonori”, come sempre guidato da Cesare Ronconi, un rito pensato come inaugurale.

I Leoni

I Leoni del Teatro quest’anno vogliono premiare “artisti che danno e fanno tantissimo per il teatro – come spiega Latella, ma che spesso restano in seconda linea, anche per responsabilità del regista, troppo spesso accentratore, che dimentica quanto il risultato finale sia spesso legato ai collaboratori che sceglie”.

Il Leone d’Oro alla carriera è assegnato a Franco Visioli, sound designer che ha lavorato con Thierry Salmon, Peter Stein e soprattutto con Massimo Castri, prima di collaborare con lo stesso Latella. “Le sue drammaturgie sono vere e proprie scritture che si aggiungono alla scrittura drammaturgica, creando sinergie che vanno a valorizzare passi fondamentali dell'autore e del regista” (dalla motivazione).

Il Leone d’Argento è assegnato ad Alessio Maria Romano, regista e coreografo che ha lavorato ai movimenti scenici di spettacoli di Luca Ronconi, Carmelo Rifici, Valter Malosti, Sonia Bergamasco, fra gli altri, oltre a impegnarsi nella pedagogia del movimento per la formazione degli attori “insegnando agli attori quanto sia necessaria, soprattutto per la nuova figura dell'attore-performer, la consapevolezza del proprio corpo, e quanto un gesto teatrale possa essere più incisivo di una battuta” (dalla motivazione).

Gli spettacoli

“A tutti gli artisti – scrive Latella - è stato proposto di lavorare sul tema della censura, cercando di uscire dall'ovvietà di questa proposta per pensarla come valore “alto” da proporre al pubblico e agli operatori, pensando che i teatranti italiani faticano a entrare in un mercato internazionale e che quindi, in qualche modo, vengono censurati o nascosti, per il solo fatto di essere teatranti italiani”.

Fra le tante declinazioni del tema, ci sono registi e compagnie che hanno trovato impulso in autori dello “scandalo”.
La filosofia nel boudoir del marchese de Sade per Fabio Condemi, già regista di Bestia da stile e Jakob Von Gunten, è una prosecuzione della sua indagine su testi di ‘formazione alla rovescia’ e “su autori con una propensione (o una condanna) a uscire dal mondo e a scomparire, lasciando una traccia di cui non riusciamo a liberarci”. Lolita, da Nabokov, nell’immaginario di Biancofango “è una parola sul vocabolario, una ragazzina che ciascuno di noi ha conosciuto, almeno una volta, nella vita, un mito, un modo di dire, una proibizione, un implicito non esplicabile, un fatto scabroso, un trafiletto nella cronaca nera, un peccato” e tante altre cose ancora. In Eh!Eh!Eh! Raccapriccio, da I fiori del male di Baudelaire, AstorriTintinelli immaginano “uno spettacolo che abbia un'aurea luciferina, ebbra… un luogo che ricordi il più possibile uno spazio sacro, in cui incombe un'atmosfera di mistero e di crepuscolo dove due creature si confrontano, tra raccapriccio e orrore, sulla caducità della vita”. La città morta, considerato il tentativo fallito di Gabriele D’Annunzio di riscrivere la tragedia greca, è messo in scena ora da Leonardo Lidi con “un pensiero sulla censura che il D'Annunzio teatrale ha ricevuto e continua a ricevere, censura che - data l'imprendibilità scenica del testo - sembra quasi suggerito dal poeta stesso”. I rifiuti la città e la morte di Fassbinder, il più clamoroso caso di censura nella Germania degli anni ‘70, scritto nel 1975 e messo in scena sui palcoscenici tedeschi solo 34 anni dopo, è per il regista Giovanni Ortoleva “la storia di una moderna Passione di Cristo... Un testo allo stesso tempo blasfemo e religioso, che mette sulla croce una figura che nel racconto biblico avremmo trovato ai piedi di Cristo”.

In altri casi gli artisti, invitati a confrontarsi con il tema della censura, sono stati sollecitati da personaggi storici o tematiche politiche, sociali, psicologiche che consentono loro di mettere sotto la lente d’ingrandimento la realtà.
George II, scritto da Stefano Fortin e diretto da Alessandro Businaro, affronta la storia e il mondo del Presidente americano visto come “un principe shakespeariano” per interrogarsi sulla “post verità come la nuova frontiera della censura, la sua implacabile e sfuggente tecnica di controllo”. Elia Kazan. Confessione americana, liberamente ispirato alla vita controversa del regista, per il drammaturgo Matteo Luoni e il regista Pablo Solari è “una storia che parla di quel compromesso che una volta nella vita tutti siamo costretti ad affrontare: quella scelta per cui non c’è salvezza. Come fai, perdi. Senza amici e senza armi, Elia si dovrà trovare da solo con la sua vocazione per poter capire veramente chi è, o chi è diventato.” Una cosa enorme di Fabiana Iacozzilli indaga sui processi di “auto inganno censorio” che riguardano il genere femminile su un tema cruciale come la maternità: “Nel costruirlo – dichiara la regista – mi sto nutrendo di Sheila Heti, di Orna Donath e degli incontri con fatti e storie di altre persone, persone che ho cercato ma che, il più delle volte, hanno cercato me”. Dentro (una storia vera, se volete) di Giuliana Musso è un lavoro sull’occultamento della violenza, una storia vera di abuso sui minori: “Un’esperienza difficile da ascoltare. Una madre che scopre la peggiore delle verità. Una figlia che odia la madre. Un padre innocente fino a prova contraria. E una platea di terapeuti, consulenti, educatori, medici, assistenti sociali, avvocati che non vogliono sapere la verità”. The right way, una performance di Daniele Bartolini con la sua compagnia DopoLavoro Teatrale, si focalizza sui contro-effetti del politically correct. “Dopo sette anni di permanenza in Canada – racconta l’autore - tutto questo ha coinvolto anche me, mi trovo perfettamente integrato, adesso anche io mi confronto tutti i giorni con un pensiero che mi suggerisce cosa sia giusto fare e cosa sia lecito pensare, una voce che posso scegliere di ascoltare o meno ma che comunque parla ed esprime dei giudizi. Con Eve #2 Filippo Michelangelo Ceredi dà una risposta artistica alla violenza comunicativa dilagante nei media e nei discorsi politici: “un percorso per rimettere in relazione i frammenti della contemporaneità con la dimensione personale del pubblico e con la possibilità di dare adito a un processo vitale di memoria collettiva”. Automated Teller Machine di Giuseppe Stellato si concentra sul rapporto uomo-macchina, dove la macchina questa volta è un bancomat: “una macchina ad alto potenziale simbolico, che ci costringe a interrogarci sul potere di un elemento tanto concreto quanto astratto, spesso alla base di molte delle controversie della nostra società: il denaro”. La performance Nanaminagura, ideata da Antonio Ianniello, ha per oggetto il mondo delle competizioni dell’air guitar, in cui i vincitori sono maestri nel suonare una chitarra elettrica immaginaria, come la Nanami Nagura del titolo.

Altri titoli del Festival fanno riferimento a un veto, un’interdizione, un impedimento evidenziato nel titolo.
Natura morta di Babilonia Teatri avrebbe dovuto mettere al centro della scena un gruppo di bambini: “In questo periodo noi avremmo dovuto creare uno spettacolo con in scena un gruppo di bambini – dichiarano. Abbiamo deciso di non dare vita allo spettacolo, di non sottostare a regole che di fatto sono totalmente incompatibili col progetto che avevamo in mente. Una volta compiuto questo primo passo, abbiamo deciso di compierne un secondo. Una volta scesi i bambini dal palcoscenico, abbiamo deciso di scendere anche noi, per lasciare il palco completamente vuoto”. Non dire / Non fare / Non baciare sono tre storie raccontate dagli allievi registi, attori e drammaturghi dell’Accademia d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” sotto la guida di Francesco Manetti, che assume su di sé il ruolo del censore. “Tre storie, tre esempi, tre simboli di come, ancora, l’espressione di certi pensieri (non dire), la libertà di alcune scelte (non fare), il rapporto con il corpo, soprattutto se femminile (non baciare), siano limitati, subdolamente controllati, indirizzati in ambiti rassicuranti e uniformati”. Untold del collettivo UnterWasser esplora i meccanismi di difesa, gli schermi che gli individui erigono per preservarsi dalla distruzione, dalla disgregazione del proprio ego e dall'incontro con i propri mostri, creati e alimentati da paura e dolore. Bye Bye di Alessio Maria Romano immagina un gruppo di utenti che “muovono e danzano il corpo in un sistema ciclico di azioni, un carillon ossessivo di azioni fisiche in cui l’opzione undo prevista da tutti i Pc, svolge il compito preciso e sottile di tornare indietro, cancellare, eliminare tracce, dettagli per poi, forse, recuperarli. Che cosa rimane dopo il lavoro di undo? Che cosa causa l’azione di undo e com’è interpretato ciò che lascia? Chi decide di usarlo e quando?”.

In alcuni casi il tema censura viene visualizzato in un luogo, un paesaggio, uno spazio fisico: come Pandora del Teatro dei Gordi diretti da Riccardo Pippa, che delimita in un bagno - di una fabbrica, di una stazione della metropolitana, di un aeroporto, di un club, di una stazione di servizio - “uno spazio amorale, di sospensione, anche di grossa violenza e nudità, un luogo comune dell’interiorità dove ampliare lo spettro dell’azione quotidiana oltre i limiti e le censure”; o come Klub Taiga di Industria Indipendente, dove il Klub è un luogo destinato alle controculture e la taiga evoca “l’immagine dell’intoccato, dell’inospitale, dell’indesiderato, come luogo antitetico al sogno tropicale immaginato e fantasticato”; o anche come Glory Wall di Rocco Placidi con la regia di Leonardo Manzan, che analizza tutto quello che c’è dietro a un muro, chiedendosi se “si può provare la vera natura dello spazio dietro al muro, o se si può provare la vera natura di ciò che accade dietro alla quarta parete, se è ancora possibile godere a teatro. La libertà è un muro. E al di là c’è il principio di piacere”.

Apparentemente distanti dall’idea di censura, autori come Anton Cechov, Thomas Mann, Tomasi di Lampedusa e il poco frequentato, per l’Italia, Arne Lygre, sono stati il punto di partenza per alcuni dei registi invitati.
La tragedia è finita, Platonov è una riscrittura di Liv Ferracchiati, che col personaggio cechoviano torna a un amore giovanile di cui ad attrarlo era “l’apparente mancanza di autocensura, nei pensieri, negli impulsi”; Ultima Latet prende le mosse dal luogo di cura della Montagna incantata di Mann in cui l’autore e regista Franco Visioli vede “anche un luogo sconosciuto e per questo temuto, un luogo dove la censura viene esercitata al contrario. Chi è censurato qui è il sano… Il malato diventa protagonista proprio in virtù della malattia che si porta addosso che lo spinge all’introspezione, a domandarsi quale sia il limite percorribile per affrontare, quando dovuto, il momento finale”; ne Le Gattoparde (L’ultima festa prima della fine del mondo) le Nina’s Drag Queens prendono ispirazione dal libro di Tomasi di Lampedusa per rileggere l’immutabilità del potere, che trasportano dall’Italia dell’800 al Paese del boom economico degli anni ’60; Niente di me - uno studio, di uno dei massimi autori scandinavi, Arne Lygre, messo in scena da Jacopo Gassmann, rappresenta forse l’estremo tentativo della letteratura teatrale di andare oltre i confini del non-detto all’interno di un rapporto di coppia; ma non censurare le verità nascoste dell’amore è davvero un atto di libertà?

Biennale College Teatro

Avviato nel 2012 in tutti i settori della Biennale di Venezia con l’obiettivo di promuovere giovani artisti affidando loro nuove creazioni messe a punto a contatto con Maestri, Biennale College – Teatro si è strutturato, sotto la guida di Antonio Latella, in tre sezioni: una dedicata ai registi under 30, una agli autori under 40, che si conclude quest’anno, e una alle masterclass.

Registi Under 30
Pensato per dare voce e visibilità a chi opera nel panorama teatrale del nostro Paese, tenendo conto delle difficoltà di ingresso e del divario generazionale, la sezione registi di Biennale College si sviluppa nell’arco di un biennio. La terza edizione, che copre il 2019 e 2020, si completa quindi con la presentazione di uno spettacolo all’interno del 48. Festival Internazionale del Teatro mentre è già avviata la quarta edizione (2020/2021).
Martina Badiluzzi, vincitrice della terza edizione di Biennale College Registi under 30 presenterà The Making of Anastasia, ispirato a uno dei più famosi e appassionanti scambi di identità del ‘900, con una compagnia di cinque attrici in cui le loro storie personali e quella della presunta Anastasia si sovrappongono. Lo spettacolo, prodotto dalla Biennale di Venezia, sarà realizzato con un cast e una squadra tutta al femminile, con il tutoraggio del Direttore Antonio Latella e dei suoi collaboratori.
Il bando per la quarta edizione di Biennale College – Registi, che copre il biennio 2020-21, lanciato a novembre, ha raccolto 93 domande per la prima selezione. 30 le domande ammesse al colloquio che ha visto selezionati 11 registi: Alessandro Padovani, Ian Bertolini, Giulio Cavallini, Richard Pareschi, Michele Segreto, Giulia Odetto, Federica Amatuccio, Arianna Di Stefano, Elvira Scorza, Paolo Costantini, Gianmaria Borzillo. A loro il compito di presentare la prima parte del lavoro (da 20 a 30 minuti) alla presenza degli allievi e dei maestri che partecipano alle attività di Biennale College - Masterclass 2020. Da quest’ultima prova emergerà il vincitore del premio di produzione previsto dal bando.

Autori Under 40
La messinscena de Il lampadario di Caroline Baglioni conclude Biennale College Autori Under 40 dopo un percorso lungo l’arco di un triennio (2018/2019/2020) che i partecipanti hanno seguito con il tutoraggio di due importanti autrici del panorama nazionale: Linda Dalisi e Letizia Russo.
La regia del testo di Caroline Baglioni è affidata a Leonardo Lidi, che per primo vinse il bando destinato a registi non ancora trentenni, saldando in un unico percorso l’esperienza di Biennale College Teatro. Scrive l’autrice: “Il Lampadario è la metafora di una condizione esistenziale e fisica: appesi a testa in giù il mondo si rovescia e assume forme nuove e imbocca strade impensate. Col sangue al cervello ci si può addirittura ingannare, inventarsi una vita, stoppare il tempo, fermarsi a quell’attimo in cui tutto poteva ancora accadere ma quanto tempo ci può concedere un’illusione?”

Masterclass
Anche le masterclass di quest’anno sono parte integrante del festival, pensate in funzione del tema comune affrontato. “Abbiamo sentito l’esigenza di raccogliere le masterclass in tre gruppi tematici, per evitare distrazioni rispetto all’argomento centrale. Sono stati scelti, quindi, due settori del teatro che, in qualche modo, hanno di fatto il potere di censurare, se le scelte non sono fortemente motivate… Le due masterclass di cui parlo riguardano la direzione artistica e la critica teatrale. Quale censura metto in atto nel momento in cui scelgo di programmare un festival, un teatro nazionale, una stagione teatrale? Le scelte sono veramente libere da qualsiasi condizionamento? Quale censura opero nello scrivere una recensione e quanto quest’ultima è davvero indipendente per restituire ciò che ho visto in teatro? Quanto i direttori dei teatri hanno condizionato il successo e la popolarità di alcuni teatranti, e quanto, allo stesso modo, i critici sono stati responsabili del successo o insuccesso di alcuni artisti?” (A. Latella).
Umberto Angelini, Sovrintendente e Direttore artistico della Fondazione del Teatro Grande di Brescia e curatore della Triennale di Milano per il settore teatro, danza, musica, performance e Claudia Cannella, direttrice del mensile di teatro Hystrio e da vent’anni collaboratrice per il teatro del Corriere della Sera, sono i tutor per la direzione artistica e la critica teatrale.
Unica ad avere esito pubblico è la terza masterclass tenuta dal regista, coreografo e pedagogo Alessio Maria Romano, Leone d’Argento di questa edizione del festival. “Abbiamo scelto un pedagogo, che è tale nonostante la giovane età, perché siamo consapevoli di quanto, anche nella formazione, il Maestro sia portato, forse naturalmente, a censurare; il Maestro chiamato è però talmente solido che crediamo che, ad ogni censura applicata, corrisponda nelle sue scelte un’esaltazione del talento di ogni singolo allievo. La novità significativa consiste nell’aver chiesto al Maestro di lavorare con un grande gruppo, una classe di cento allievi, perché venisse messa in luce la forza fagocitante della massa, in un’accezione sia negativa che positiva, per riflettere anche su quanto una massa possa nascondere le individualità, non sempre per un bene comune”. Noi Wish, ovvero “rito aperto a 100 partecipanti”, è il titolo della performance che concluderà la masterclass di Alessio Maria Romano e insieme anche il 48. Festival Internazionale del Teatro il 25 settembre.
Il bando di Biennale College – Masterclass è online all’indirizzo www.labiennale.org/it/teatro/2020/biennale-college-teatro-2020-workshop.

Ringraziamenti

Si ringraziano il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo per l’importante contributo e la Regione del Veneto per il sostegno accordato ai programmi dei Settori Danza Musica e Teatro della Biennale di Venezia.

Biennale Teatro
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