fbpx Biennale Teatro 2025 | Esercizio numero uno: una postura
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Biennale College Teatro

Workshop di critica teatrale

di Roberta Ferraresi con Massimo Milella
Esercizio numero uno: una postura

Questo non è l'inizio di un percorso: è la prima postura di un corpo nello spazio.
Una postura ostinata, concreta: essere un confine. Da una parte, una redazione che sperimenta pratiche di abitazione nel Festival, dall’altra il pubblico che è quello con cui, da oggi, il nostro lavoro si relaziona.
Non potevamo che dedicare la nostra prima azione critica a questa elettrizzante e liberatrice adunata di fantasmi che è Symphony of Rats, opera del 1988 del visionario Richard Foreman, ripresa a distanza di quarant’anni da The Wooster Group, in scena al Teatro delle Tese per il debutto della Biennale Teatro 2025.  
Questa, la partitura dell’esercizio che condividiamo: ogni persona ha scelto un elemento di Symphony of Rats (un’azione, un suono, un’immagine), mettendolo in dialogo con una delle traiettorie di libertà regalate da Elizabeth LeCompte e di Kate Valk, registe dello spettacolo, durante il talk che ha seguito la cerimonia di consegna del Leone d’Oro nella Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian. 
In questa postura ci chiediamo: focalizzarsi su uno specifico “oggetto critico” può condurre a nodi invisibili di un discorso artistico?

“Dove sono?”
L’interrogativo aleggia nell'aria densa di oggetti con svariate forme e dimensioni, senza che essi riescano in alcun modo a evocare una risposta. Il Presidente non demorde; sa bene che a nessun corpo è negato il diritto di conoscere le proprie coordinate spazio-temporali.

“Dove sono?”
Le situazioni si susseguono innestando linguaggi su linguaggi; emerge prepotente il bisogno di far chiarezza. Per controllare un terreno bisogna conoscere dove si trova. Per governare uno Stato, sapere chi lo abita, o che cosa. Per guidare un popolo bisogna dargli da mangiare. E per avere fame, avere un corpo – forse. Il Presidente tenta di calarsi dentro una figura univoca, che abiti una sola forma alla volta: umano o topo, naturale o artificiale, incarnato o smaterializzato.

“Dove sono?”
Ogni binarismo viene reciso da macchine lignee che scorrono su fili rossi senza risparmiare niente e nessuno; persino i performer, colti in improvvise pose statuarie, sono tranciati in pieno. A terra cade una testa, sgonfia pallina da golf, vibrando al ritmo di melodie fuori contesto. Nessun istante è libero, ogni cosa brulica, si dimena infestata da fantasmi, ratti, pillole, intelligenze artificiali che ballano con disinvoltura.

“Il gruppo viene definito da chi c’è nella stanza”. Quanti siamo? Uno, due, tre, dieci, cinquanta, mille… Provare a contare è come “acido nella testa”. Il Presidente è in vacanza, ma non si è mosso che di qualche metro.

Si erge orgogliosa, alta poco più di un metro, sullo sfondo della scena del rinnovato Symphony of Rats, una piccola colonna greca. Il materiale di cui è fatta sembra leggero, sottile, probabilmente è semplice plastica. La sua forma originaria, cilindrica, è stata modificata: è ora tagliata a metà, nella volontà forse, di svelare qualcosa oppure di celarla; lo spettatore è libero di poter immaginare. 
La colonna ha perduto il capitello, ormai sostituito da una palla da basket, che non ha però oscurato il suo antico fascino ma, anzi, ha esaltato il grigio scuro che la veste, talvolta argenteo, forse bianco. Le ombre e le luci dei fari ne falsificano l’identità, dotando la colonna di molteplici sfumature fredde, che contrastano drasticamente con il caldo colore della palla che le si posa sul capo. Il monumento, una reminiscenza, simboleggia la necessità di venire in contatto con gli artisti di un passato lontano. 
Il Leone d’Oro Elizabeth LeCompte, regista di The Wooster Group, afferma: “quando si lavora da tanto tempo, bisogna parlare con i fantasmi, quasi fare sedute spiritiche, elaborando l’antico materiale che ho nel corpo, nell’anima”. La scelta di mettere in scena la colonna, dunque, sembra voler raccontare un bisogno, quello di assottigliare il liminale; di comprimere quindi, in uno sforzo metafisico, una linea già sottile, nel tentativo di far combaciare i due lembi di un confine che divide: epoche passate e futuribili, ricordi perduti e memorie ritrovate, corpi palpabili e anime invisibili. 

Sul palco della cerimonia, il Leone d’Oro 2025 Elizabeth LeCompte dichiara: “Quando abbiamo messo in versi le parole di Richard Foreman, è allora che le ho capite”. In effetti, il titolo dello spettacolo – Symphony of Rats – parla chiaro, e The Wooster Group lo prende alla lettera. 
Dopo un immenso vuoto iniziale, il suono schizza sul palco, occupandolo fino alla fine. Un solo pit stop: dieci secondi di silenzio; gli unici in cui si sospende questo testo che, anche quando in versi, pare non avere altro destino che rimanere in fuga.
Il soggetto, un pallone da calcio. Il suo agente reale, un topo. Il suo agente fittizio, il Presidente degli Stati Uniti. Ritmo drammatico, lentissimo. Si comincia. La palla tra le zampe del ratto tocca la spalla destra del Presidente. La spalla destra del Presidente s’abbassa, poi si rialza. La palla rimbalza, ascende, hapax, discende. Il gomito sinistro del Presidente si piega, si raddrizza, la palla torna su; moto parabolico perfetto, quarantacinque gradi di volo mentre il capo della Casa Bianca passa dalla posizione seduta a quella supina. La traiettoria si consuma: la palla cade. Punto di caduta: le natiche del Presidente. Che si abbassano, che si rialzano, magistralmente. Il Presidente è alla berlina. Il pubblico ride. Torna il suono. Il silenzio si è concluso. 

“The Wooster Group was and is an ongoing experiment”. La frase risuona come un manifesto all’interno del discorso schietto ed essenziale di Elizabeth LeCompte, pronunciato in occasione della cerimonia di conferimento del Leone d’Oro alla carriera. 
Ambientato al contempo in un’astronave, nello studio di un artista e in una galleria d’arte, il caos di Symphony of Ratscolpisce per la scenografia affollata come un dipinto fiammingo: tavoli di metallo, cavi, un vecchio punching ball, diquelli con la base a terra e l’asta; la metà di una colonna classica con un pallone da basket posato sulla sezione circolare mozzata, un verme troppo grande ma piuttosto vivo su un vassoio; una sedia a rotelle, schermi, un sipario costituito da una specie di lavagna mobile fatta scorrere su una corda tesa. È uno spettacolo surreale, estremamente citazionista: una sorta di backup della civiltà umana che va dai mukbang video di YouTube a William Blake. Al centro di questo trip c’è il Presidente degli Stati Uniti: uno qualsiasi, basta che stia bene con gli occhiali da aviatore di Tom Cruise e incastonato nella colonna al posto della palla da basket. 
Poi c’è la musica, forse il più grande “tradimento” del lavoro originale di Richard Foreman. Le registe, Elizabeth LeCompte e Kate Valk, hanno adattato il testo in versi, musicando diverse parti. Per dirla con il Presidente (Ari Fliakos): “You call it music. I call it delivery mystification”.

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