In Minor Keys
[Fai un respiro profondo]
[Espira]
[Rilassa le spalle]
[Chiudi gli occhi]
Questa è un’invocazione a incontrare le parole che seguono nelle condizioni fisiche, meteorologiche, ambientali e karmiche in cui vi raggiungono. A rallentare il passo e a sintonizzarsi sulle frequenze delle tonalità minori. Perché, sebbene spesso siano sommerse dalla cacofonia ansiogena del caos che imperversa nel mondo, la musica continua. I canti di chi genera bellezza nonostante la tragedia, le melodie dei fuggitivi che riemergono dalle rovine, le armonie di chi ripara ferite e mondi.
C'è una ragione, dopotutto, se esistono persone che vogliono colonizzare la Luna, e altre danzano dinnanzi a essa come un'antica amica.
— James Baldwin, 1972[1]
La tonalità minore, in musica, allude tanto alla struttura di un brano quanto ai suoi effetti emotivi. È un’idea feconda, così ricca da oltrepassare rapidamente la sua definizione tecnica ed essere piena di metafore. Evoca stati d’animo, il blues, il call-and-response, la morna, la second line, il lamento, l’allegoria, il sussurro.
Le tonalità minori rifiutano il fragore orchestrale e le marce militari dal passo cadenzato, e prendono vita nei toni sommessi, nelle frequenze più basse, nei mormorii, nelle consolazioni della poesia — tutti varchi di improvvisazione verso l’altrove e l’altrimenti. Le tonalità minori richiedono un ascolto che interpelli le emozioni e che, a sua volta, le sostenga.
Le tonalità minori sono anche isole minori: mondi in mezzo agli oceani, con ecosistemi distinti e infinitamente ricchi, vite sociali articolate — nel bene e nel male — all’interno di strutture politiche ben più vaste e poste in gioco ecologiche di grande rilievo. In questo contesto, l’evocazione della tonalità e dell’isola si estende a un arcipelago di oasi: giardini, cortili, residenze, loft, piste da ballo — gli altri mondi creati dagli artisti, universi intimi e conviviali che rigenerano e sostengono anche nei momenti più bui; anzi, soprattutto nei momenti più bui.
Guarda il giardino creolo, vi si coltivano tutte le specie su un fazzoletto di terra:
vocado, limoni, ignami, canne da zucchero... più altre trenta o quaranta specie su questo pezzo di
terra che non si estende per più di quindici metri sul fianco della collina, e si proteggono a vicenda.
Nel grande Cerchio, tutto è in ogni altra cosa.
— Édouard Glissant, 1993[2]
Questi sono gli indizi di una mostra; una mostra sintonizzata sulle tonalità minori; una mostra che invita ad ascoltare i segnali persistenti della terra e della vita, in connessione con le frequenze dell’anima. Se nella musica le tonalità minori sono spesso associate alla stranezza, alla malinconia e al dolore, qui si manifestano anche nella loro gioia, consolazione, speranza e trascendenza.
Nelle tonalità minori, suono e sensazione sono radicamento: custodiscono le cadenze, le melodie e i silenzi di mondi risonanti che si raccolgono e si fondono in un’assemblea polifonica dell’arte, unendosi e comunicando in una collettività conviviale, irradiando luce attraverso il vuoto dell’alienazione e il crepitio del conflitto.
La 61ª edizione della Biennale Arte si fonda su una profonda fiducia negli artisti quali interpreti essenziali della condizione sociale e psichica, nonché catalizzatori di nuove relazioni e possibilità. La composizione della mostra è costituita da pratiche artistiche che aprono portali, che rinnovano e nutrono, che stimolano il rapporto e la relazione, e che promuovono l’avanzamento del concetto e della forma attraverso reti e scuole — intese in modo libero e informale.
L’effetto voluto mescola coesione e dissonanza alla maniera di un ensemble di free jazz o, forse, alla scala della Biennale Arte, di un festival di ensemble con un presupposto comune: che la poetica libera e le persone creano insieme la bellezza.
Attraverso la relazione, la condivisione e la trascendenza, gli artisti e le pratiche che operano in questo spirito, come il jazz, attraversando metodi, scale, sensi e forme, offrono ai visitatori un’esperienza espositiva più sensoriale che didattica, che rinnova invece di esaurire, e fortifica per il cammino che ci attende.
Attraverso una processione visiva e meditativa, la mostra sollecita tutti i sensi a interconnettersi e a perdersi da un universo all’altro, rendendo visibili le possibilità che abitano negli spazi intermedi e oltre i portali.
… non resta che sintonizzarsi, come i jazzisti, su queste mutazioni imperative.
Il jazzista medita costantemente sull’imprevedibile, vi si colloca seguendo
le leggi del poliritmo e improvvisa istanti mozzafiato.
Noi, piccoli isolani dei Caraibi, non siamo ancora pronti, ma possediamo questa risorsa.
Il cambiamento dovrà essere così profondo che, senza dubbio, sarà necessario integrare la conoscenza del jazz con i vecchi totemismi, animismi, analogismi e altre metafisiche finora troppo sommariamente scartate.
Queste poesie del mondo antico sono già partiture preziose.
— Patrick Chamoiseau, 2023[3]
In questo spirito, la mostra internazionale della 61ª Biennale Arte non intende essere né una litania di commenti sugli eventi mondiali, né un atto di disattenzione o di fuga dalle crisi complesse e continuamente intrecciate. Al contrario, essa propone una riconnessione radicale con l’habitat naturale e il ruolo originario dell’arte nella società: quello emotivo, visivo, sensoriale, affettivo e soggettivo.
In Minor Keys è un susseguirsi di viaggi entusiasmanti che parlano al sensibile e all’affettivo, invitando i visitatori a meravigliarsi, meditare, sognare, gioire, riflettere ed entrare in comunione con dimensioni in cui il tempo non è proprietà delle corporazioni né sottomesso alla tirannia di una produttività incessantemente accelerata.
Dopotutto, è ormai evidente che il tempo perdurante del capitale e dell’impero ha denigrato come chimere i saperi locali, indigeni e terrestri, e ha liquidato le pratiche artistiche co-costitutive come l’artigianato, come destinate alla decorazione o a rituali devozionali.
La “missione civilizzatrice” appiattisce tutto con un disprezzo condiscendente, e nell’epoca contemporanea intere società ed ecologie sono trattate come danni collaterali nella corsa ostinata alla crescita, sorretta da spietatezza e avidità. Rifiutando lo spettacolo dell’orrore, è giunto il momento di ascoltare le tonalità minori, di sintonizzarsi sotto voce sui sussurri e sulle frequenze più basse; di scoprire le oasi, le isole, dove si tutela la dignità di tutti gli esseri viventi.
La mostra sostiene che tali cambiamenti radicali stanno avvenendo — anzi, sono in atto da sempre — nelle tonalità minori, e gli artisti, i poeti, i performer e i filmmaker che la mostra riunirà sono profondamente impegnati nel realizzarli. Gli artisti sono canali verso e tra le tonalità minori, e ascoltarle — piuttosto che parlare al loro posto — è al cuore dell’idea curatoriale.
La mostra In Minor Keys si presenta come una partitura collettiva, composta insieme ad artisti che hanno costruito universi dell’immaginazione. Artisti che operano ai confini della forma, le cui pratiche possono essere intese come melodie complesse, da ascoltare sia collettivamente che secondo una propria autonomia. Sono artisti le cui pratiche si intrecciano naturalmente con la società. Artisti che accolgono la vita quotidiana come parte di una relazione logica ed esteticamente coerente tra le parti. Artisti straordinariamente generosi e ospitali verso la vita.
Nei nostri miti, nei nostri canti: è lì che si trovano i semi.
Non è possibile concentrarsi incessantemente sulla crisi.
Bisogna avere l’amore e bisogna avere la magia — anche questa è vita.
— Toni Morrison, 1977[4]
[1] James Baldwin, No Name in the Street (New York: Dial Press, 1972).
[2] Edouard Glissant, Tout-monde (Paris: Gallimard, 1993), 208; translated by Eric Prieto, 2010.
[3] Patrick Chamoiseau, 'We Caribbeans are not ready but have the resources to adapt to unavoidable climate mutations,' Le Monde, June 29 2023.
[4] Toni Morrison interviewed by John Callaway, WTTW, Chicago, 1977.