fbpx Biennale Cinema 2018 | Intervento di Alberto Barbera
La Biennale di Venezia

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Intervento di

Alberto Barbera

Direttore della 75. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica

Un'istantanea del presente

La metafora più diffusa per indicare il programma di un festival consiste nel definire questo insieme di film come “un’istantanea del presente”. Cioè come un modo per rappresentare lo stato di salute - o quello che si ritiene tale - della produzione cinematografica mondiale, in un preciso momento e contesto storico. Quanto sia approssimativa questa definizione, lo si deduce anche solo mettendo a confronto la selezione di un festival con quella della manifestazione che lo ha preceduto, o con quella che gli farà seguito. A seconda dei diversi modi in cui ciascun programma si configura, se ne possono trarre conclusioni diverse, spesso destinate a contraddirsi, talvolta manifestamente errate. Una buona selezione (che, alla stessa maniera di una meno riuscita, è sempre il frutto di scelte soggettive, e di molti condizionamenti), potrebbe indurre a pensare che il cinema stia benissimo. O viceversa, senza che nessuna delle due deduzioni sia per forza di cose illegittima.

Il cinema come insieme di eventi

Il fatto è che - per dirla con il linguaggio della meccanica quantistica - il presente semplicemente non esiste. Per la fisica post einsteiniana, passato e futuro non si oppongono più come a lungo si è pensato, separati da un terzo lasso temporale che dovrebbe corrispondere ad un “adesso”: un concetto che, secondo gli scienziati, semplicemente non significa nulla. “Gli eventi del mondo non si mettono in fila come gli inglesi. Si accalcano caotici come gli italiani”, ironizza per esempio Carlo Rovelli. Per rimanere in prossimità della metafora da cui siamo partiti, dobbiamo allora, forse, prendere atto che “cinema del presente” è un modo di dire alquanto privo di senso. Per esempio, ci sono autori e produttori che continuano a fare film come si facevano nel secolo scorso, ed altri che invece procedono secondo modalità inedite, sperimentano nuovi linguaggi e nuove narrazioni, creano nuovi media. Accettare l’idea che possano legittimamente coesistere, non solo si può. Si deve. Per il semplice fatto che le cose non “sono”: accadono. Ancora Rovelli: “Si può pensare il mondo come costituito di cose. Di sostanza. Di enti. Di qualcosa che è. Che permane. Oppure pensare che il mondo sia costituito di eventi. Di accadimenti. Di processi. Di qualcosa che succede. Che non dura, che è continuo trasformarsi”. Adesso provate a sostituire alla parola “mondo” la parola “cinema”. Il cambio di prospettiva, anche nel nostro caso, è affascinante. Pensare il cinema come un insieme di eventi, di processi, è il modo che ci permette di meglio coglierlo, comprenderlo, descriverlo. Qualche esempio? Smettere di credere che esista un prima e un dopo, secondo una logica lineare e progressiva, vuol dire capire che non ha senso contrapporre il cinema del passato a quello più recente (e ancor meno a quello di domani). O lamentare che i film di oggi non sono belli come quelli di ieri, come se la loro diversità implicasse la perdita di una qualche forma di purezza originaria. O rifiutarsi di accettare i cambiamenti indotti dalle trasformazioni tecnologiche, dalla rivoluzione digitale, dalle modifiche del mercato.

Rendere conto degli eventi che si accalcano caotici

Rendere conto degli eventi che si accalcano caotici: un disordine che siamo spesso tentati di ridurre a più miti consigli, affrontandolo con la tranquillizzante locuzione di “periodo di transizione” (come se non stessimo perennemente transitando verso qualcos’altro: altre esperienze, altre immagini, altre visioni). È forse, questa, la miglior descrizione del lavoro che sta alla base di questo festival. Altri possono darsi obbiettivi diversi: definire che cosa è buon cinema e cosa non lo è, ad esempio. E se fosse più importante descriverlo, cercare di comprenderlo, coglierne le feconde contraddizioni e l’irriducibile complessità, anziché stabilire temporanee gerarchie? Procedere per inclusioni anziché per dogmatiche distinzioni, allargare lo sguardo invece che metterlo soltanto e selettivamente a fuoco, spingersi oltre i limiti anziché erigere barriere? Senza rinunciare alla qualità, o meglio senza smettere d’interrogarsi costantemente su che cosa essa sia e dove risieda oggi, in questo presente che ci hanno spiegato non esistere, in un universo che non è più il passato e non è ancora il futuro. Del cinema, s’intende.

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