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Biennale Teatro 2023

Biennale College Teatro
Performance Site-specific

I vincitori

Biennale College Teatro
Performance Site-specific

Questo 51. Festival seguiterà a essere una fucina palpitante di creazione scenica e un imprescindibile faro di riferimento, come avamposto di meraviglie rivoluzionarie e utopie eroiche, per le future generazioni di artisti. Con VERDE EMERALD – il cui orizzonte simbolico evoca la libertà, la rigenerazione, soprattutto civile, dell’Uomo e dei luoghi, il momento di una metamorfosi profonda, il passaggio a una nuova fase della vita dopo il rigido inverno – celebreremo un risveglio di primavera anche per il Teatro, investito ora più che mai a riaprire “la dimora degli dei”, stimolando la fantasia, la visionarietà, l’immaginario dello spettatore, oggigiorno schiacciato dal regime-tagliola dei social network e della tecnologia digitale.

Stefano Ricci  Gianni Forte

 

A salire sul primo scalino del podio e condividere la medaglia d’oro della terza edizione del bando Biennale College Teatro – Performance Site-specific 2023, unico nella sua specificità, sono la croata Morana Novosel e l’italiano Gaetano Palermo, scelti dai Direttori Artistici Stefano Ricci e Gianni Forte (ricci/forte) nella rosa dei dieci finalisti.
I due progetti vincitori, prodotti dalla Biennale Teatro, integreranno di diritto la programmazione del Festival 2023.

Fluid Horizons
Morana Novosel
 

Fluid Horizons è la creazione della croata Morana Novosel, vincitrice del bando Performance Site-specific 2023, e senza orizzonti certi sembra essere anche l’esistenza degli spettatori, la loro, la nostra; condizione nella quale proviamo a rintracciare lacerti di senso nella deflagrazione che ci ha allontanato dall’Altro.

Se è vero che la felicità è altrove, come suggeriva Čechov, in un clima di fraintendimenti e vizi della comunicazione attuale, la Novosel rivoluziona l’assunto performativo investendo lo spettatore, ormai prono fruitore di estetica con lo stesso atteggiamento – passivo, sopraffatto – imposto dalle piattaforme streaming di intrattenimento, della capacità di assumere su di sé la regia di una riflessione culturale diventando performer lui stesso, il pubblico, con una forza rivelata che è parente prossima di un itinerario psicanalitico di consapevolezza; un percorso non finito, accidentato, reso fragile dall’incertezza umana e dai suoi balbettanti tentativi di direzione.
Voci riprodotte, fonti sonore, stralci di appunti, tasti da premere sul telefono: suggestioni, frammenti di timone per tentare di rimettere insieme le tessere di un puzzle che non combaciano mai. Guerre, pandemie, ignavia, e disinteresse codardo al di fuori dei propri perimetri, ci hanno reso spettatori attenti a una forma imposta; Morana Novosel ci schiaffeggia con il suo dispositivo scenico costringendoci all’azione.

Gli spettatori, lasciati nel limbo di una congerie di fonti, si osservano nell’azione di appropriazione di altri spettatori; in questa risacca fossile di spunti letterari, l’attitudine speleologa del pubblico dirama una trama di sensi che si espande a seconda delle aggregazioni dettate dalla transumanza in atto.
La Novosel sembra, così, non essere interessata alla narrazione nel senso conosciuto del termine ma a una sincronizzazione degli eventi, come una formula matematica che trova continue reazioni; in tal modo, l’artista ci pone in una condizione quasi divina, nello scegliere gli eventi e dar loro significato.

Abbiamo provato a governare il mondo, ad agire come amministratori di una divinità superiore ma abbiamo fallito; guardiamo impassibili, senza coscienza la distruzione compiuta da noi stessi.
Qual è dunque l’epitaffio appropriato per una civiltà?
La Novosel utilizza la città di Venezia per piangere la perdita di umanità; cambiamenti climatici, innalzamenti delle maree, gas serra e riscaldamento globale trascinano questa umanità serenissima nella propria sordità verso un rinnovato concetto di Atlantide.

Forse l’accampamento di congegni di comunicazione della Novosel assurge a una landa di tesori sommersi, a raccontarci cosa eravamo diventati, a testimonianza del futuro dell’uomo: la fine della civiltà non è la fine del mondo; la perdita del nostro habitat di comunicazione ci ha resi molluschi diffidenti. La performance di Morana Novosel ci restituisce le capacità residue da rimettere in gioco per una rivoluzione umana.

Swan
Gaetano Palermo

Presentando un frammento di studio del suo progetto Swan, Gaetano Palermo elabora una partitura personale di segni, scava fino ad arrivare all’anima delle cose, elimina radicalmente l’apporto della parola, apre squarci di fascino amaro che portano alla superficie bagliori improvvisi e la sensazione di un pericolo incombente, tramite fughe di immagini consce e altrettanto misteriosamente imprendibili, elementi astratti, silenzi, memorie private e frammenti di realtà, sfidando le logiche di tempo/spazio ed evocando come un mantra le variazioni di un moto ondoso, lasciando correre paralleli differenti linguaggi, aprendoli a raggiera, per proiettarci nei plurali territori dell’arte.

Ispirandosi liberamente a La morte del cigno (1901) di Michel Fokine e in un tempo fluttuante tipico del sogno, il regista catanese ci immerge nel cuore del labirinto della vita con una performance rapsodica dove l’Eroina, pattinando in un giorno di assolata iridescenza, apparentemente reclusa nell’assolo della sua bolla autistica, si libra in una costellazione claustrofobica di traiettorie circolari/ellittiche. Dopo l’esplosione di un florilegio di fuochi sonori non meglio identificati, nonostante il suo corpo si ricopra impercettibilmente di un voluttuoso “raso rosso” scintillante, la protagonista si dibatte e annaspa per provare fino all’estremo quella beatitudine, accanendosi a girare – ancora e ancora – per disfarsi delle sovrastrutture razionali, rivelare le sue origini mitiche, bere altre fiamme e raggiungere il fatidico salto a picco, ovvero la caduta nell’ignoto, in un inquietante finale tragico.

Lo sperdimento, la ricerca di un nuovo senso d’equilibrio, il silenzio metafisico, fulcro permanente dello svolgimento dell’azione performativa, raffigurano la nostra condizione attuale di “cigni in esilio” coscritti in un cielo straniero, bocconi di carne vivente che, per la loro salvezza, si tengono in piedi unicamente con le proprie forze, sterzando il dolore e la sofferenza per rendere l’esistenza più sopportabile. Gaetano Palermo mette in evidenza il lato oscuro dell’individuo attraverso la paura dell’altro che non conosciamo e la sua solitudine, disgiungendo lo sguardo dello spettatore nel duplice ruolo di co-protagonista e di voyeur. Conducendolo altrove, in mondi onirici di desideri e di angosce, scatena in lui un’identificazione (quella che, allertandoci, Karl Popper chiama lo spirito della tribù) – che si sposta dal piano personale della performer a quello universale della nostra comunità – permettendoci così d’intravedere in controluce la sindone di un intero Pianeta, in rotazione sul perno del Sé come un derviscio ebbro, ostentando una furia ribollente e una brutalità paralizzante in tutte le sue forme politico-ideologiche, sociali, religiose, sessuali, economiche, ambientali, sempre più stratificate come sedimenti rocciosi inscalfibili.

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