fbpx Biennale Architettura 2021 | Intervento di Hashim Sarkis
La Biennale di Venezia

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Intervento di

Hashim Sarkis

Curatore della 17. Mostra Internazionale di Architettura

How will we live together?
Il tema della Biennale Architettura 2021

Abbiamo bisogno di un nuovo contratto spaziale. In un contesto di divisioni politiche acutizzate e disuguaglianze economiche crescenti, chiediamo agli architetti di immaginare spazi in cui possiamo vivere generosamente insieme:

· insieme come esseri umani che, nonostante l’individualità crescente, desiderano ardentemente connettersi tra loro e con altre specie attraverso lo spazio digitale e reale;
· insieme come nuovi nuclei familiari alla ricerca di spazi abitativi più diversificati e dignitosi;
· insieme come comunità emergenti che reclamano equità, inclusione e identità spaziale;
· insieme oltre i confini politici per immaginare nuove geografie di associazione;
· insieme come pianeta che sta affrontando crisi che esigono un’azione globale affinché tutti noi continuiamo a vivere.

I partecipanti alla 17. Mostra Internazionale di Architettura stanno collaborando con altri professionisti e attori: artisti, costruttori, ingegneri e artigiani, ma anche politici, giornalisti, esperti in Scienze Sociali e cittadini comuni. Di fatto, la Biennale Architettura 2021 afferma il ruolo vitale dell’architetto sia come cordiale catalizzatore sia come custode del contratto spaziale.

Parallelamente, la Mostra sostiene che è proprio nella sua specificità materiale, spaziale e culturale che l’architettura ispira i modi in cui viviamo insieme. A tale riguardo, chiediamo ai partecipanti di evidenziare quegli aspetti del tema principale che sono propriamente architettonici.

Scomporre la domanda

Tema di questa Biennale Architettura è il suo titolo che è allo stesso tempo un titolo e una domanda: How will we live together? è una domanda aperta.

How: come, parla di approcci pratici e soluzioni concrete, sottolineando l’importanza del problem solving nel pensiero architettonico.

Will: esprime il tempo futuro e segnala uno sguardo rivolto al futuro ma anche la ricerca di visione e determinazione, attingendo alla forza dell’immaginario architettonico.

We: è la prima persona plurale e quindi inclusiva di altri popoli, di altre specie, che fa appello a una comprensione più empatica dell’architettura.

Live: significa non semplicemente esistere ma prosperare, fiorire, abitare ed esprimere la vita, attingendo all’intrinseco ottimismo dell’architettura.

Together: implica collettivi, spazi comuni, valori universali, evidenziando l’architettura come forma collettiva e forma di espressione collettiva.

?: indica una domanda aperta, non retorica, che cerca (molte) risposte, che celebra la pluralità dei valori in e attraverso l’architettura.

La domanda: How will we live together? è antica e allo stesso tempo urgente. I babilonesi la posero nel costruire la loro torre. L’ha posta Aristotele quando scriveva di politica. La sua risposta è stata “la città”. La posero le rivoluzioni francese e americana. Sullo sfondo tumultuoso dei primi anni Settanta del secolo scorso, Timmy Thomas lo implorò nella sua canzone Why Can’t We Live Together?

È senz’altro una questione tanto sociale e politica quanto spaziale. In tempi più recenti, con la rapida trasformazione delle norme sociali, la polarizzazione politica tra sinistra e destra, il cambiamento climatico e il crescente divario tra lavoro e capitale, la domanda diventa ancora più urgente e rilevante, e su scala diversa rispetto al passato. Parallelamente, la debolezza dei modelli politici proposti oggi ci costringe a mettere lo spazio al primo posto e, forse come Aristotele, a guardare al modo in cui l’architettura plasma l’abitazione per immaginare potenziali modelli di come potremmo vivere insieme.

Ogni generazione si sente costretta a porre questa domanda e a rispondere in un suo modo proprio. Oggi, a differenza delle precedenti generazioni guidate ideologicamente, sembra esserci consenso sul fatto che non esiste un’unica fonte dalla quale possa derivare una risposta. La pluralità delle fonti e la diversità delle risposte non farà che arricchire la nostra convivenza, non ostacolarla.

Poniamo questa domanda agli architetti perché non siamo soddisfatti delle risposte oggi offerte dalla politica. Nel contesto della Biennale Architettura poniamo questa domanda agli architetti perché crediamo che abbiano la capacità di dare risposte più stimolanti di quelle che la politica ha finora offerto in gran parte del mondo. La poniamo agli architetti perché hanno la grande abilità di attirare diversi attori ed esperti nel processo di progettazione e costruzione. La poniamo agli architetti perché noi, come architetti, ci preoccupiamo di dare forma agli spazi in cui le persone vivono insieme e perché spesso immaginiamo questi ambienti in modo diverso dalle norme sociali che li dettano.

In tal senso, ogni spazio che progettiamo abbraccia il contratto sociale voluto dallo spazio e al tempo stesso ne propone un’alternativa. Aspiriamo ad attuare il meglio del contratto sociale e a proporre alternative quando è possibile migliorarlo. Una casa unifamiliare può alla fine replicare i valori espliciti e le oppressioni implicite del modello di famiglia nucleare del secondo dopoguerra, ma abbiamo anche visto potenti esperimenti di architetti che hanno sfidato le gerarchie familiari della casa unifamiliare e le segregazioni di genere proponendo progetti e gradi di apertura alternativi.

Si spera che la domanda continui a spingerci fiduciosamente in avanti e, così facendo, a costruire sull’ottimismo che guida l’architettura e gli architetti. La nostra professione ha il compito di progettare spazi migliori per una vita migliore. La nostra sfida non è essere ottimisti o meno, in questo senso non abbiamo scelta. Piuttosto è sapere come siamo riusciti a condurre gli abitanti a una vita migliore attraverso le ‘immagini dialettiche’ che produciamo con l’architettura.

L’attuale pandemia globale ha senza dubbio reso la domanda posta da questa Biennale Architettura ancora più rilevante e appropriata, seppure in qualche modo ironica, visto l’isolamento imposto. Può senz’altro essere una coincidenza che il tema sia stato proposto pochi mesi prima della pandemia. Tuttavia, molte delle ragioni che inizialmente ci hanno portato a porre questa domanda – l’intensificarsi della crisi climatica, i massicci spostamenti di popolazione, le instabilità politiche in tutto il mondo e le crescenti disuguaglianze razziali, sociali ed economiche, tra le altre – ci hanno portato a questa pandemia e sono diventate ancora più rilevanti.

Un nuovo contratto spaziale

Cinque persone entrano in una stanza in cui ci sono solo quattro sedie. Chi si siede e dove? Possono fare il “gioco delle sedie” . E questo è un contratto spaziale. Possono anche allineare le sedie per formare una panchina che le possa accomodare tutte. Questo è un altro. Una città decide di costruire una nuova metropolitana: quali parti collega e quali tralascia? Potrebbero esserci problemi economici, rivalità politiche e fattori tecnologici che guidano queste decisioni, ma in qualche modo la disposizione del sistema della metropolitana prevale e diventa un modo in cui una porzione più ampia della popolazione si connette al di sopra e al di là della politica che lega o divide.

La politica e le politiche stabiliscono i termini e i processi per la vita collettiva, ma le persone si riuniscono nello spazio e lo spazio contribuisce a plasmare e trasformare il contratto sociale stabilito. Quando Aristotele, ad esempio, voleva descrivere la democrazia ideale, non poteva farlo senza la città. Era molto difficile immaginare una società senza gli spazi da essa occupati. Da allora, i teorici politici si sono spesso affidati allo spazio per spiegare, ma anche rendere possibile, la società che immaginano. Da Rousseau a Rawls il dibattito delle persone che formano la società avviene in uno spazio che contribuisce a plasmare il contratto sociale. Se un contratto sociale determina le libertà perdute e acquisite affinché le persone possano entrare nella società, un contratto spaziale determina i metodi con cui esse negoziano queste libertà attraverso le loro interazioni spaziali. Il contratto spaziale anticipa, prova, articola, materializza, invariabilmente abilita o resiste, ma spesso sostituisce il contratto sociale.

Gli storici delle città dimostrano che la condivisione dei muri rappresenta il momento dell’emergere delle città, il momento in cui due case vengono ripensate per economizzare e condividere. Il contratto spaziale ha una singolarità nell’idea di spazio che richiede decoro, ma è molto plurale nel senso che lo spazio possiede un livello di simultaneità che può potenziare le molteplicità. Quindi, osservare il modo in cui le società modellano gli spazi e quali opportunità di accesso e comportamento sono plasmate dai loro spazi, potrebbe essere tanto importante quanto osservare i loro stessi codici etici.

Continuiamo ad abitare case e città costruite su idee di ‘bella vita’ ormai superate. La resilienza architettonica di questi spazi può anche essersi adattata alle nostre mutevoli esigenze nel tempo, ma essi hanno ormai raggiunto i limiti della loro flessibilità.

I nostri corpi hanno acquisito nuove protesi e, sempre più, la nascente libertà di esprimere generi fluidi. Si diversificano e si liberano dall’uniformità, ma i criteri architettonici di comfort sono ancora basati su approcci standardizzati che confinano il corpo e lo separano dal proprio ambiente. La nostra vita familiare si è evoluta e diversificata, ma continuiamo a replicare fino alla nausea il modello della casa familiare nucleare insieme agli intrinseci pregiudizi di gerarchia e privacy. Le nostre relazioni sociali sono diventate più diffuse e diversificate e tuttavia lo spazio della comunità è ancora incentrato su valori associativi che tendono a essere più chiusi in se stessi e claustrofobici. Le nostre città da tempo si sono espanse oltre il modello centralizzato di uso del territorio e gruppi di reddito separati, ma spesso continuiamo a pensare alla città ideale come a una città con un centro, gerarchie sociali organizzate spazialmente e con le spalle rivolte al rurale e alla natura. Soprattutto, siamo diventati sempre più consapevoli dei pericoli globali delle nostre pratiche spaziali, compresi i trasporti e i controlli ambientali, ma continuiamo a vivere come se fossimo soli su un pianeta passivo dotato di risorse infinite. Parafrasando Prince, continuiamo a festeggiare come se fosse il 1999: “Party like it was 1999”.

Non possiamo più aspettare che i politici propongano un percorso verso un futuro migliore. Mentre la politica continua a dividere e isolare, attraverso l’architettura possiamo offrire modi alternativi di vivere insieme. Dopotutto, lo spazio spesso precede, proietta e sopravvive alle condizioni umane che lo modellano. Un contratto spaziale potrebbe costituire un contratto sociale. Cerchiamo un contratto spaziale che sia al tempo stesso universale e inclusivo, un contratto allargato affinché i popoli e le specie coesistano e prosperino nella loro pluralità.

Verso un rinnovato impegno attivo per l’architettura

La Biennale Architettura 2021 è motivata da nuovi tipi di problemi che il mondo sta ponendo di fronte all’architettura, ma è anche ispirata dall’attivismo emergente di giovani architetti e dalle radicali revisioni proposte dalla professione dell’architettura per affrontare queste sfide.

Gli architetti sono intrinsecamente catalizzatori; sintetizzano diversi ambiti e coordinano diversi professionisti per poi rappresentarli di fronte al cliente; sono i custodi del contratto. Oltre a ciò, tuttavia, gli architetti suggeriscono possibili organizzazioni sociali attraverso il modo in cui organizzano, incamerano e collegano gli spazi. Inoltre, modellano i monumenti, i ricordi e le espressioni di società e gruppi, creando un linguaggio comune che consente al pubblico di discutere e comunicare le proprie esperienze e culture.

Gli architetti stanno ora ripensando i loro strumenti per affrontare i problemi complessi che si trovano di fronte; stanno anche ampliando il loro tavolo di discussione per includere altri professionisti e cittadini. Per assumersi efficacemente le responsabilità che vengono loro presentate, gli architetti stanno estendendo uno dei loro ruoli più importanti, ovvero quello di generosi sintetizzatori di diverse forme di competenza e di espressione.

Ma gli architetti sono, ora più che mai, chiamati a proporre alternative. In quanto cittadini, attiviamo le nostre capacità di sintesi per riunire le persone al fine di risolvere problemi complessi. Come artisti, sfidiamo l’inazione che deriva dall’incertezza per chiederci: ‘E se?’ E come costruttori, attingiamo dal nostro infinito pozzo di ottimismo per fare ciò che sappiamo fare meglio. La confluenza di ruoli in questi tempi nebulosi può solo rendere più forte la nostra azione e, speriamo, più belli i nostri edifici.

Cinque scale

La Mostra Internazionale comprende opere di 114 partecipanti provenienti da 46 Paesi con una maggiore rappresentanza da Africa, America Latina e Asia e con uguale rappresentanza di uomini e donne.

Questa mostra comprende anche una serie di Stazioni di ricerca che integrano i progetti esposti con un’approfondita analisi di argomenti correlati. Queste Stazioni sono state sviluppate da ricercatori provenienti dalle università di tutto il mondo e includono Architectural Association, American University of Beirut, The Bartlett, Columbia University, The Cooper Union, ETH Zürich, Ethiopian Institute of Architecture, Building Construction and City Development (EiABC), ETSAM - Escuela Técnica Superior de Arquitectura de Madrid, Harvard University, Hong Kong University, Università Iuav di Venezia , KIT Karlsruhe, KU Leuven, Rice University e il Venice Lab, un consorzio di gruppi di ricerca del MIT.

La Biennale Architettura 2021 è organizzata su cinque Scale (o aree tematiche): tre sono allestite all’Arsenale e due al Padiglione Centrale. I progetti esposti spaziano dall’analitico al concettuale, allo sperimentale, al testato e provato e all’ampiamente diffuso. Ognuna di queste Scale è a sua volta affrontata attraverso una serie di temi ed è ospitata nelle singole stanze presenti negli edifici e degli spazi della Biennale.

Le cinque Scale sono: Among Diverse Beings, As New Households, As Emerging Communities, Across Borders e As One Planet.

Among Diverse Beings (Arsenale)
- Designing for New Bodies: affrontare i cambiamenti nella percezione e concezione del corpo umano;
- Living with Other Beings: mettere in primo piano l’empatia e l’impegno nei confronti di altri esseri.

As New Households (Arsenale)
- Catering to New Demographics: rispondere ai cambiamenti della composizione delle famiglie e alla loro densità;
- Inhabiting New Tectonics: esplorare le tecnologie che consentono la costruzione di alloggi innovativi;
- Living Apart Together: espandere le potenzialità del condominio come una tipologia abitativa collettiva.

As Emerging Communities (Arsenale)
- Appealing to Civicness; ricercare nuovi modi in cui le comunità si possono organizzare lo spazio;
- Reequipping Society: proporre nuove forme di attrezzature sociali (parchi, scuole, ospedali e altro);
- Coming Together in Venice: immaginare il futuro di Venezia alla luce delle sfide causate dall’innalzamento del livello del mare, dalla pandemia e dal cambiamento demografico;
- Co-Habitats: mostrare come viviamo insieme… ad Addis Abeba, nel campo profughi di Azraq, a Beirut, a Hong Kong, nei corridoi India-Pakistan, in un insediamento abusivo a Lagos rispetto a uno al Cairo e un altro a Guadalajara, a New York, a Pristina, a Rio de Janeiro e nell’area di San Paolo.

Across Borders (Giardini, Padiglione Centrale)
- Transcending the Urban-Rural Divide: mitigare le crescenti differenze sociali ed economiche tra le città globali e l’hinterland globale;
- Linking the Levant: negoziare le forti divisioni politiche nella regione del Levante;
- Seeking Refuge: analizzare le sfide spaziali del dislocamento forzato;
- Resourcing Resources: proporre una migliore distribuzione delle nostre risorse comuni;
- Protecting Global Commons: portare l’immaginario architettonico a impegnarsi per il nostro patrimonio naturale in via di estinzione come i Poli, l’Amazzonia, gli Oceani, la regione Indo-Pacifica e l’aria.

As One Planet (Giardini, Padiglione Centrale)
- Making Worlds: anticipare e regolare il futuro del pianeta;
- Designing the Assembly of the Future: proporre un futuro speculativo più che umano alle Nazioni Unite;
- Changing Designs for Climate Change: presentare soluzioni per far fronte al degrado globale dell’ambiente;
- Networking Space: collegamenti tra la Terra e lo Spazio.

Oltre alle Sezioni ospitate nelle “stanze” negli spazi del Padiglione Centrale e all’interno delle Corderie, ai Giardini e negli spazi aperti dell’Arsenale sono presenti diverse installazioni che si riferiscono a una delle cinque Scale. Inoltre, nell’area del parco di Forte Marghera in terraferma cinque progetti rispondono al tema: How Will We Play Together?

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