I film di Ozu hanno impiegato un po’ a piacermi. Ma i suoi ritratti poetici di vita famigliare e solitudine restavano con me. Il gusto del sakè è diventato la porta d›accesso, non attraverso la trama o il dramma, ma attraverso la presenza. Come dice Kiyoshi Kurosawa in questo documentario, “Guardando Ozu per la prima volta, ho avuto la sensazione di intravedere il segreto stesso del cinema”. Nel 2017, mentre giravo un cortometraggio per la Criterion Collection intitolato In Search of Ozu, ho percepito una storia più profonda che aspettava di essere raccontata: l’essere umano dietro i film. La parte più impegnativa è stata confrontarsi con l’esperienza di Ozu in tempo di guerra. I suoi diari di quel periodo e le interviste del dopoguerra rivelano una frattura, una perdita profonda. Come ha scritto Tanaka Masasumi, “Ozu era sopravvisuto alla guerra. Ma non possiamo negare che la sua umanità fosse in crisi”. Eppure, nei decenni successivi, ha creato alcuni dei film più teneri, umoristici, formalmente giocosi ed emotivamente toccanti della storia del cinema. Questo documentario è raccontato in gran parte con le parole di Ozu stesso. È un tentativo di sedersi con lui attraverso il tempo, per comprendere il suo dolore, la sua gioia, le sue contraddizioni e il suo singolare modo di vedere il mondo.