Anno e durata: | 2025, 75' (prima assoluta) |
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Ideazione e direzione artistica: | Marcos Morau |
Coreografia: | Marcos Morau in collaborazione con danzatori |
Performance: | Maria Arnal, Lorena Nogal, Marina Rodríguez, Núria Navarra, Jon López, Shay Partush, Valentin Goniot, Ignacio Fizona Camargo, Fabio Calvisi |
Consulenza artistica e drammaturgica: | Roberto Fratini |
Assistenza alla regia: | Mònica Almirall |
Scenografia: | Max Glaenzel |
Musica originale: | Maria Arnal |
Suono: | Uriel Ireland |
Costumi: | Silvia Delagneau |
Direzione e oggetti di scena, effetti speciali: | David Pascual |
Direzione tecnica e luci: | Bernat Jansà |
Direzione produzione: | Juanma G. Galindo |
Produzione e logistica: | Cristina Goñi Adot & Àngela Boix |
Coproduzione: | La Biennale di Venezia, La Veronal, Teatre Nacional de Catalunya |
In collaborazione con: | Centro Danza Matadero (Madrid) |
Con il supporto di: | Institució de les Lletres Catalanes, INAEM - Ministerio de Cultura de España, ICEC - Departament de Cultura de la Generalitat de Catalunya |
Marcos Morau / La Veronal - La mort. La primavera

Descrizione
Basandosi su un romanzo incompiuto (ma non incompleto) dell’autrice catalana Mercè Rodoreda, Marcos Morau e La Veronal si immergono nelle profondità di un immaginario oscuro per costruire un’allegoria sulla libertà creativa, l’impegno sociale e la capacità dell’arte di affrontare l’angoscia del ciclo creazione-distruzione in cui siamo immersi.
La mort i la primavera è oggi considerato il capolavoro di Rodoreda: una stella oscura e una cicatrice difficile da nascondere, da cui La Veronal e il suo team prendono le mosse per costruire un’opera radicalmente attuale, fedele alla sua eredità e al presente. Abbracciando la dualità e l’attrazione fra morte e rinascita, creano un universo fra l’umano e il sacro, lo spirituale e l’animale; un’opera che vuole pulsare di tristezza e rabbia, ma anche di resistenza; uno sguardo alle fasi della vita che ci mette di fronte alle illusioni del passato, risuona nel presente e lotta per essere il seme di un futuro sempre più difficile da immaginare.