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Biennale College Teatro 2022: i progetti vincitori

 

Motivazioni Vincitori Bando Autori / Autrici Under 40 - College 2022

Stefano Ricci  Gianni Forte

Carolina Balucani
Addormentate

Vincitore del bando Biennale College Teatro 2022 per la Drammaturgia, Addormentate, scritto da Carolina Balucani, è il testo che vibra più di altri delle sollecitazioni suggerite per l’edizione di questo 50esimo festival, ROT: il rosso dell’azione, intesa come consapevolezza di una chiamata collettiva.

Quali sono i confini del proprio corpo? Quali i lasciapassare per attraversare tali perimetri; quali gli sforzi per andare verso l’esterno e a quale scopo?
Nel frammento presentato il titolo stesso preannuncia una letargia, una percezione alterata, uno stato onirico entro il quale l’Ignoto rende concreto un bisogno inappellabile: entrare in contatto con qualcuno, essere bucati dall’Altro da noi e in questo sconfinamento ritrovarci rinnovati.

La sindrome della Bella Addormentata, o sindrome della Rassegnazione è una riduzione della coscienza.
Un allontanamento progressivo dal mondo. Come a lenire le sofferenze; chiudendo gli occhi, abbandonando la veglia morale, ci si può illudersi di fuggire dal dolore. Una via di fuga, una lacerazione dell’anima.

Il ritmo, la concitazione, l’eloquio stretto, franto, ripetuto a più voci è l’apparato muscolare di questa nuova drammaturgia che utilizza le parole come organi umani: vocali polmone, consonanti ugola sembrano delineare la figura di una nuova creatura mitologica, una Chimera ombra che vive nel Sottosopra, o forse semplicemente nello specchio del mattino.
La ferita inflitta da questo mostro e riconosciuta da noi umani è proprio quella di sentirsi isolati, non toccati dagli altri, spenti e protetti nelle proprie individualistiche certezze.

L’incipit del testo, il termine di una festa consumata in un campo d’erba identificano un bosco e le luci di un affievolirsi vitale nostalgico.
Voci, non personaggi, indicate da lettere alfabetiche, e una nota sulle pause temporali lanciano il primo tratto distintivo drammaturgico: quattro appelli universali, quattro apparenti abdicazioni dal fiato contratto introducono a questo viaggio al termine della notte.
Emerge un coro, a indicarci i principi di una tragedia classica. Le voci, insieme alla collettività del coro riproducono l’Umanità tutta, che difatti appare segnata da un marchio ancestrale, una ferita rossa sulla mano che attesta cosa? L’essere in vita o il segno di un tradimento a noi stessi, ad occhi che non vogliono ascoltare, braccia che non vogliono soccorrere?

Nonostante la lacerazione viva, le voci continuano a piroettare, a sognare del passato, ad ipotizzare un futuro attingendo ai ricordi anche spiacevoli di una costruzione identitaria.
In questa continua conversazione spezzata, interrotta, ripresa, in questo respiro mozzo che è anche il nostro, in questo riafferrare il timone di un Sé sognato è la capacità dell’autrice di mostrarci quella zona liminale dove poter riedificare le nostre schiene morali.

Come siamo arrivati a travestirci tutti da Belle Addormentate e quale tipo di azzurro, principe o meno, attendiamo per ritornare desti? Forse facendo nostra la pena degli altri, inviduando l’oltraggio recato a terzi come una lesione indissolubilmente aperta sulla nostra pelle?

Raccontando di sogni/diritti/rispetto, in una prosa dagli echi beckettiani e con un uso che è veicolo di sopraffazione e ambiguità polisemica alla Sarah Kane, Carolina Balucani articola la prima cordata di un impianto drammaturgico e di una lingua con possibilità di significato radicali, deframmentando il corpo interpretativo, restituendo la nostra capacità di influenzare ciò che vive intorno a noi ed esserne, a nostra volta, mutati; in un azzeramento di dualismi perimetranti e disegnando un auspicabile Noi concreto e in ascolto.

Stefano Fortin
Cenere

Dotato di un originale segno impressionista, viscerale ed urgente, in una contemporaneità che si dissolve in un batter di ciglia, logorata dall’ansia dell’apparire, Stefano Fortin, con un estratto del suo ultimo testo, Cenere, si aggiudica il Bando College Autori under 40 della Biennale di Venezia 2022 per la sottile trasognata poeticità e la raffinatezza caustica nel germinare un Presente apparentemente realistico, ironico e terribile allo stesso tempo, in risonanza con le inquietudini dell’Oggi, convocando la momentanea dilatazione visionaria di una temporalità razionale, sfaldandola di qualsivoglia velleitaria certezza, lasciando deflagrare una panoplia di desideri arditi e/o sentimenti reconditi come la rabbia che, scorrendo magmaticamente sottopelle, finiscono per venire alla luce ed eruttare lapilli incandescenti e corrosivi pulviscoli rossi di cenere che, disorientandoci prima, ci avviluppano poi in un turbamento irreversibile.

Con Cenere, che è composto da un prologo e da tre quadri disgiunti (dove, in aggiunta alle voci dei singoli personaggi s’inerpica quella detonante dell’autore che, mediante la sua presa di parola e di diverse Note personali, imprevedibili per ogni allestimento a venire dello spettacolo, delucida la scena che si sta svolgendo in quel momento), il trentatreenne drammaturgo di Noventa Vicentina, con fervore bizantino, mette ancor più in atto la sua spasmodica ricerca di una propria drammaturgia che non vuol essere intrappolata in altre strutture ma, eretta con scarti, spostamenti e nuovi spazi tra parole, punta a fluire frammentaria, senza regole né cardini, libera: una sorta di “porta girevole” spalancata verso l’infinito, in cui dilatare e fondere l’energia cromatica cangiante di un Reale ossessivo con la dimensione dialettica luce/ombra, registrare gli smottamenti e restituire pertanto l’invalicabile complessità sismica di un mondo in frantumi, in una tensione oscillante tra il quotidiano e l’onirico, il manifesto e il sotterraneo, la veglia e il sogno.

Autore di pensiero prima che d’azione, Stefano Fortin, in una spazialità quasi metafisica, scava ed esplora gli interstizi della coscienza con l’ampiezza dello sguardo di uno speleologo, popola il suo universo con una costellazione di presenze ordinarie, colme di tensioni umane che – con un passato alle spalle o un futuro davanti a sé, figlio probabilmente di una storia altra, di uno spazio altro – sembrano misteriosamente cambiare forma sotto i nostri occhi, donandoci una vertigine inesorabile per reagire come un vaccino contro il virus del dolore, della solitudine, dello smarrimento, del disamore. Teatro del teatro, teatro della vita, o meglio nella vita, una proiezione a tinte forti di una società uniforme dove, tramutato in Rito, s’infrange il gioco degli specchi delle nostre materiche e corporee esistenze.

Stefano Fortin, frantumando sagacemente il verbo teatrale “vegano-naturalistico”, innestandolo con una lingua enigmatica e magnetica, attraverso il sapiente mélange di differenti codici ed alfabeti espressivi, intercetta ciò che si cela, quello che c’è dietro o nell’intimità degli esseri umani e, nel silenzio rumoroso di una realtà piana e cosiddetta legittima, consegna un posto d’onore alla sospensione, all’attesa, allo stupore poetico, intrepidi Lancillotti capaci di sopravvivere all’effimero e all’aridità dei nostri routinari giorni disperati, risvegliandoci così nel più profondo dell’animo e, per citare Roland Barthes, portandoci finalmente “a rompere quella sorta di radiofonia interiore che risuona continuamente in noi, sin dentro il nostro sonno”.

Motivazione Vincitore Bando Biennale College Teatro 2022 Registi Under 35

Stefano Ricci  Gianni Forte

Valerio Leoni
Cuspidi

È Valerio Leoni con il progetto CUSPIDI a vincere il Bando Registi Under 35 per Biennale College 2022. La sua traiettoria artistica travalica e si allontana da un percorso visivamente e linguisticamente realistico per dirottare l’indagine infondendole una tonalità emotiva in cui fa emergere, spostare o star fermi i corpi e la pluralità delle loro voci monologanti in un paesaggio mentale immaginato da Magritte.

In un’Umanità post pandemica e senza più un’Identità emergono tre monadi (A fatta di Urla, B fatta di Polvere, C fatta di Scatole, a rappresentare i tre vertici della Cuspide), tre presenze fallibili, chiuse in un egoistico guscio, non interagenti secondo l’assioma dell’impossibilità comunicativa beckettiana, smarrite al crocevia allegorico dell'esistenza; tre evocazioni clandestine, forse borderline, probabilmente sfrattate da un’illusoria società-alveare in cui il miraggio del potere, il pervertimento dei sentimenti e il disinganno del successo spadroneggiano e dettano legge; tre respiri solitari che, errando in mezzo alle macerie di una Terra che non riconoscono più, si fanno carico di una personale responsabilità etica di andare avanti, comunque e nonostante tutto; sciamani esploratori, legati dallo stesso sentimento di perdita di senso e d’impotenza, che cercano rifugio in una platonica Caverna per ritrovare un contatto fisico, troppo a lungo interdetto o dimenticato, recuperare una conversazione interrotta e instaurare un nuovo dialogo con l’altro, evitando così di essere inghiottiti dal buio che un futuro apocalittico proietta davanti ai loro occhi.

Sul medesimo campo d’azione si delinea e staglia una quarta figura, l’Hostess, un deus ex machina, una sorta di Caronte che traghetterà Noi all’interno di questo percorso alla ricerca di un Dove possibile.

Attraverso l’utilizzo di una disfonia sonora, di un’interazione di codici espressivi differenti, di una parola da reinventare fatta di frammenti intrecciati, Valerio Leoni fornisce ganci liturgici offrendoci - attraverso la lezione di quel teatro povero che restituisce la dignità del ruolo di officiante - l’opportunità di perdere il consueto orientamento spaziale e temporale abbandonando la cristalizzata consapevolezza di sé.

Un’operazione “borgesiana” laddove il fantastico e l’inusitato rappresentano una reinvenzione del Reale; dove mettere in atto - citando Magris - l’incanto di un attimo in cui le cose stiano per dirci il loro segreto.

Valerio Leoni, così, edifica un nuovo eroe sofocleo, dimenticato, portato alla tragedia del male che assume su di sé. Ma in quel combattimento analizzato viene restituita una dimensione antropologica che assurge all’empireo morale smarrito e che, forse, tornerà ad unire i poli scissi in una unità condivisibile.

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